bimbilla

mercoledì 27 marzo 2019

Relazioni irrecuperabili

In questo post vorrei parlare di un argomento che mi sta molto a cuore, che viene molto discusso e anche criticato, e sul quale torno di tanto in tanto: eliminare le persone negative dalla nostra vita. Per farlo partirò da una situazione particolare per arrivare alla fine a quella più generale. Ho sempre avuto remore a raccontare di eventi e persone specifiche, parlo sempre per grandi linee, per esempi riassuntivi e teorici, perché non mi va che la gente si senta chiamata in causa quando mi legge. In fondo, quando ho avuto problemi seri con qualcuno, glie l’ho sempre detto in maniera molto diretta. Ci sono però delle situazioni in cui ho scelto di lasciar perdere, perché mi pareva non ci fosse più niente da dirsi, che fosse inutile dare spiegazioni in quanto davanti avevo un muro. In qualche modo queste situazioni sono quelle che ogni tanto mi tornano alla mente e mi suscitano ancora riflessioni. In questo caso mi riferisco a una storia, iniziata circa dieci anni fa e durata quasi tre, che mi ha insegnato molto, anche se in maniera negativa, e mi ha fatto comprendere che avevo la tendenza ad infilarmi in situazioni dalle quali adesso, più o meno efficacemente, ho imparato a fuggire. La persona con cui avevo intessuto questa relazione, che era di tipo amoroso, era per me 'negativa' in quanto ‘complessata’ e ‘paranoica’. Virgoletto i termini perché ovviamente questa è la mia relativa percezione e non un assunto assoluto.

La storia con questo ragazzo era complicata da numerosi fattori, che è difficile riassumere in poche righe, quindi mi dilungherò un po’ per cercare di spiegare quanto questa relazione mi facesse vivere in uno stato di perenne angoscia e disagio. Sul perché sia rimasta in questa situazioni per quasi tre anni tornerò alla fine del post. Dovevo sempre essere io ad andare da lui e non viceversa, perché casa mia e il mio quartiere non erano alla sua altezza, nemmeno vivessi in una favelas. La mia educazione e la mia famiglia lo mettevano in imbarazzo, neanche fossi figlia di contrabbandieri di organi nel Terzo Mondo e lui un rampollo reale. A suo dire le mie possibilità economiche erano poco al di sopra della soglia minima di povertà. Ovviamente ogni tentativo di difendermi da questo genere di accuse, mostrandogli che le cose non erano proprio come diceva lui, veniva bollato come snobberia e presunzione. Il mio modo di vestire era sempre inadeguato alla situazione o al mio aspetto fisico: l’unica mise concessa senza incappare in critiche era composta da maglietta o maglioncino, jeans, sneaker, niente trucco o smalto. Qualsiasi variazione era inopportuna rispetto al luogo frequentato, o comunque non ero abbastanza bella, e dovevo sempre ricordarmi di non esserlo, per potermi permettere qualsiasi altro look. I miei amici non erano degni di essere frequentati da lui: ne ha intravisto uno per sbaglio e ha sempre rifiutato di incontrarne qualcuno, ma questo era anche funzionale ad asserire che tanto ero una persona sola.

Per quanto riguarda i suoi amici la questione era ambivalente: quelli che mi era concesso frequentare non dovevo permettermi di considerarli anche miei amici, di cercarli e di chiedere loro qualsiasi cosa; di contro dovevo fargli chiaramente intendere di trovarli simpatici e di volergli bene, mostrarmi sempre ben disposta, accoglierli da brava ospite, preparare loro pranzi e cene, anche e soprattutto perché lui potesse sdebitarsi delle volte in cui era stato ospite a casa loro e le loro madri gli avevano preparato da mangiare. Non era assolutamente contemplato che potessi chiedergli di accompagnarmi da qualche parte o fare qualcosa insieme: se una donna chiede ad un uomo qualcosa del genere non è per il piacere di stare assieme o perché sia ‘normale’ fare delle cose in coppia, ma perché non è in grado di farlo da sola e quindi non si merita la di lui compagnia. Avevamo più di un interesse in comune, in particolare lui era appassionato di mitologia e io studiavo storia delle religioni, ma non era assolutamente concepibile che ne sapessi qualcosa e che potessi trasmettergliela o condividerla. In generale mi era interdetta la possibilità di vantare qualsiasi tipo di intelligenza e conoscenza, pratica o intellettuale che fosse, la mia era ridicola e vana presunzione di credermi "chissà chi". Era fuori discussione che fossi in grado di compiere una qualsiasi attività manuale, che fosse disegnare e dipingere o suonare, non c’era nemmeno bisogno di verificare, era semplicemente impossibile che lo sapessi fare.

Se mi faceva piangere con uno di questi comportamenti le mie non erano ‘vere’ lacrime, perché le lacrime delle donne sono preziose mentre io piangevo per queste sciocchezze, quindi lo stavo solo ricattando moralmente. In fondo io ero ‘sbagliata’ e lui voleva solo ‘insegnarmi a vivere’. E poi io ero ‘cattiva’. Ogni tipo di affermazione da me pronunciata, neutra o addirittura positiva, come un complimento, era facilmente catalogabile come detta con malizia e per offendere. Non c’era una prima azione o una prima cattiveria detta che potessero dimostrarlo, già in origine era stato tutto interpretato in questo senso, poiché ero una donna, come la Madre, e come la Madre ero profondamente malvagia. Sì perché la Madre era un animale mitologico con una duplice funzione, che nel ruolo di Madre-Eva, veniva evocata per giustificare la credenza che le donne fossero intrinsecamente malvagie e create per perseguitare l’Uomo, e che qualsiasi cosa facessi o dicessi aveva un movente o un fine negativo; nella funzione di Madre-Maria, veniva invocata per illustrarmi come una ‘vera’ donna avrebbe tenuto la casa o preparato la cena per i suoi ospiti. “Voi donne non sapete fare niente”, “voi donne credete di sapere tutto, invece non sapete nulla”, “voi donne siete stupide perché vi date sempre importanza”, “una vera donna dovrebbe...”, “voi donne mi state sul cazzo perché...”.

Anche quando parlava di amiche e colleghe cui apparentemente era affezionato, erano per lui incapaci, stupide, non all’altezza di qualsiasi situazione, che in sostanza non erano ‘vere’ donne. Mi raccontava divertito di come insieme ad altri colleghi uomini bullizzava anche fisicamente le colleghe, di come si divertisse a dare importanza a ragazze che riteneva ‘brutte’ per ridere del loro imbarazzo, in alcune occasioni ho anche potuto assistere al suo insensato accanimento persecutorio contro donne che non gli avevano fatto nulla per il solo gusto di metterle alla gogna. Viceversa quelle che erano considerate ‘vere’ donne venivano elogiate per le loro doti culinarie e domestiche, perché non pretendono mai di trascorrere il tempo libero col compagno, andavano in vacanza senza di lui e ovviamente, mentre facevano le casalinghe e vivevano da single, portavano anche il pane a casa. Non c’erano mai commenti positivi sulla loro intelligenza o simpatia, le loro abilità erano sempre legate alla cura della casa e del loro uomo, ed erano delle buone amiche solo perché quando lo invitano a casa gli preparavano i suoi piatti preferiti.

Per quasi tre anni ho pensato di essere io il problema, mi sono sforzata di fargli capire che ero meglio di come mi vedeva lui, perché chiunque sarebbe meglio di così, anche un pluriomicida. Di fargli comprendere che i suoi argomenti erano spesso infondati e pretestuosi, che saremmo potuti stare bene insieme se lui avesse accettato il fatto che non ero un rettiliano inviato nella sua vita dalla Madre per perseguitarlo, perché era anche paranoico. Paranoico ed estremamente insicuro, di quei tipi che si cancellano da Facebook alla prima battuta sotto una foto, che pure se vorrebbero imparare a suonare uno strumento non lo fanno, per evitare quella fase iniziale in cui non si è ancora in grado di fare una cosa e quindi si è più passibili di critica, che usciva il meno possibile di casa per evitare di esporsi al giudizio dei Nessuno che si incontrano ogni giorno. Viveva così nel terrore del giudizio altrui che non poteva concepire come io, essere ontologicamente inferiore, su cui lui proiettava ogni suo difetto fisico, caratteriale, di formazione e educazione, potessi vivere lo stesso la mia vita, portando a spasso la mia angusta persona senza remore, anziché seppellirmi viva assieme a lui.

A un certo punto mi sono risvegliata dal torpore e ho capito: non sarei mai andata bene per lui. Era ormai chiaro che non potevo essere il tipo di donna che gli andasse bene, perché detesto fare le pulizie, cucino più perché mi piace mangiare bene che per passione, e comunque lo faccio per dovere: potessi permettermelo avrei domestici e cuochi personali, non c’è dubbio. Amo parlare quanto ascoltare, scambiare opinioni e condividere attività, e sì, se sto bene con una persona mi piace passarci i week end, anche fuori casa, e andarci in vacanza. Se qualcosa non mi sta bene in una relazione importante non posso tenerla per me, e a volte sbaglio i toni e le parole perché sono facile alla rabbia, quella che fa pulsare la vena e perdere la misura nelle parole e nel modo di esprimersi, per cui può capitare che dica cose che ‘suonano cattive’, ma molto spesso non lo sono nel significato. In effetti col tempo ho capito anche che quasi nessuna donna sarebbe andata bene per lui, perché a volte il risentimento nei confronti dell’altro sesso è troppo per trovare un vero accomodamento, ma questa è un’altra storia e non è più affar mio.

Oltre all’evidente rigetto per le donne c’era un altro insormontabile dettaglio: gli volevo bene e mi piaceva, e quando una persona è così auto-svalutante e paranoica da evitare di avere una vita per non essere giudicata, se incontra qualcuno che lo apprezza decide automaticamente che quel qualcuno debba essere peggiore di lui, e quindi finisce per considerarlo spazzatura. Quest'ultimo punto, che è più generale e influisce in tutti i tipi di relazioni, amorose e non, a prescindere da sesso e genere, è quello che mi ha ispirato una riflessione più ampia. A volte in alcune relazioni riconosco lo stesso atteggiamento svalutante nei confronti dell’altro, spesso frutto dell’auto-svalutazione, in cui una demonizzazione dell'altro sesso può avere o meno un ruolo. Per quanto riguarda me, alcune persone che mi mostravano interesse, anche solo in amicizia, avevano chiaramente quest’indole.

La ripetizione di questo pattern mi ha fatto capire che anche io avevo un problema, qualcosa in me ha attirato questo tipo di persone, a prescindere dal tipo di rapporto che cercavano. Fortunatamente sono quasi sempre scappata in tempo, prima di cascarci dentro. Non pretendo di essere una ‘buona’, probabilmente non lo sono, non pretendo di essere una ‘bella persona’, è raro incontrarne una, ma nessuno dovrebbe subire certe situazioni e tutti meritiamo una relazione paritetica in cui il rapporto tra dare e ricevere sia pressoché equivalente, in cui l’‘ammirazione’, la stima e la voglia di stare insieme siano reciproche. La cosa più importante da comprendere è che tutti meritiamo di essere amati, anche se abbiamo dei difetti fisici o caratteriali, anche se pensiamo di non essere persone abbastanza in gamba o realizzate, se pensiamo che la nostra vita dovrebbe essere ‘migliore’ e che ancora dobbiamo lavorare per realizzarla.

L'errore che in molti commettiamo è di pensare che chi ci ama anche così, anche se noi non ci piacciamo, sia una persona da niente. Una persona da niente è chi vuole farci rimanere nello stato di frustrazione e disagio in cui viviamo, contraria a qualsiasi nostra forma di miglioramento o accrescimento, e che anzi si impegna nello sminuirci e toglierci qualsiasi voglia e motivazione, per avere la sicurezza che staremo con l*i o saremo amici per sempre, in un rigoroso rapporto di inferiorità, che non l* faccia mai sentire mess* in discussione. Chi ci ama davvero sarà felice di vederci crescere e raggiungere i nostri obiettivi, di assistere a quello che per noi è un miglioramento, e continuerà ad amarci durante il percorso e una volta raggiunto l’obiettivo. Pensare che chi ci ama o ci sia amic* per come siamo non ci aiuti a crescere, solo perché non ci fa sentire ogni giorno ‘scomodi’ nei nostri panni, è un pensiero malato, perché spesso la crescita è frutto proprio della serenità e dell’accettazione. Se a qualcuno non andiamo bene come siamo è altamente probabile che quella persona, anche avesse 'ragione', non vada bene per noi. Molte persone si sentono in difetto, e se alcuni cercano approvazione altri se la prendono, se alcuni vivono il loro senso di ‘inferiorità’ rifiutando l’amore di chi li apprezza, e cercando a tutti i costi l’approvazione di chi li rigetta, altri accettano l’amore ma considerando chi lo prova nei loro confronti ancora più ‘inferiore’, perché come si fa ad amare qualcuno che vale poco o niente? Solo valendo ancora meno.

Tanti non riescono mai a uscire da questo circolo vizioso, continuando ad assumere di volta in volta il ruolo della ‘vittima’ o del ‘Cerbero’ in tutte le relazioni, in quanto anche la stessa persona a seconda della situazione può divenire l'una o l'altra cosa. A quanto pare la cosa più difficile non è tanto amare, quanto accettare di essere amati per come si è. Si dovrebbe scappare da quel tipo di Calimero che non potrà mai amare chi lo ama, ma che anzi disprezza proprio chi lo ama, chi gli è amico, chi gli offre l'aiuto che ha chiesto. Spesso si sente parlare di eliminare le persone 'tossiche' dalla propria vita, e alcuni si indignano all'idea che si consigli come mantra che depressi, ansiosi o problematici a vario titolo debbano essere lasciati soli. Ma ci sono depressi e depressi, ansiosi e ansiosi, problematici e problematici, e se la persona o le persone così che avete nelle vostre vite vi tolgono ogni energia e gioia di vivere, è molto probabile che siano 'tossiche', e per quanto possiate volergli bene ricordatevi che non siete psicoterapeuti o assistenti sociali, lasciate ad altri il compito di 'guarirli' quando non è nelle vostre umane capacità e soprattutto quando non vogliono il vostro aiuto, ma solo usarvi come discarica emotiva, accusandovi magari di rovinargli la vita.

lunedì 18 marzo 2019

Perché non siamo 'green'

Non so voi, ma io venerdì scorso mi sono sentita una cariatide. Quando ho letto le prime volte di Greta Thunberg, mesi fa, ho pensato "sì ma tanto a che serve? i politici svedesi le diranno 'brava', le daranno una medaglietta e poi rimarrà tutto com'è, sta perdendo giorni di scuola per nulla". Ho reagito alla notizia di questa ragazzina che protestava tutta sola, seduta su un marciapiede con un cartello affianco, con il cinismo e la mesta rassegnazione tipica degli over 30. Eppure a sedici anni non ero così, scendevo in piazza per ogni causa in cui credevo e pensavo che fossero le rivoluzioni a cambiare il mondo. Perché ho iniziato a pensarla così?

Venerdì scorso ho fatto concretamente i conti con quanto io e la mia famiglia inquiniamo. Una vaga idea ce l'abbiamo tutti, ma fare un elenco è completamente diverso. Anni fa esisteva, e forse esiste ancora, un sito dove inserendo dei parametri era possibile calcolare il valore monetario di ogni persona, mi chiedo se esista qualcosa di simile per calcolare in una scala oggettiva da 1 a 10 quanto ognuno di noi inquini. Credo che, ad eccezione di qualche gruppo superstite di cacciatori-raccoglitori, per tutti noi il numero sia ben al di sopra della sufficienza.

Non è la prima volta che cerco soluzioni per ridurre il mio impatto sull'ambiente come individuo, ogni volta che trovavo una possibile soluzione a qualcosa, però, spuntava sempre una magagna. Provate a cercare anche voi, pure gli espedienti più ovvi hanno sempre un 'ma'. Spostarsi a piedi, in bici, coi trasporti pubblici o le auto elettriche è sicuramente 'green', ma ci sarà sempre qualcuno costretto a fare parte degli spostamenti in auto se abita a più di 10km dal luogo lavoro, e non tutti possono permettersi un'auto elettrica o ibrida.

Limitare l'uso dei caloriferi ed eliminare del tutto l'aria condizionata sono soluzioni possibili per almeno metà di noi, ma diventa difficile se in casa vivono bambini, anziani o persone malate. Non comprare acqua in bottiglia è fattibile, ma se si hanno neonati in casa o persone che hanno bisogno di bere un certo tipo di acqua, soprattutto in determinate zone, l'acqua in bottiglia è una necessità. Necessità che comunque si può ovviare con le bottiglie in vetro e i vuoti a rendere, o ricorrendo a depuratori (anche semplici brocche) che però hanno dei filtri che vanno cambiati almeno una volta al mese, quindi non saranno mai a impatto zero.

Ho cercato anche una soluzione 'green' a igienizzanti e ammorbidenti per il bucato, l'aceto sembrava la soluzione perfetta, ma per avere davvero un'azione ammorbidente e igienizzante se ne dovrebbe usare una quantità tale che di fatto andrebbe ad inquinare le acque più degli igienizzanti stessi. Il bicarbonato invece è controverso, pare che chimicamente non possa veramente igienizzare un bel niente ma gli si può dare una chance come ammorbidente. Non apro nemmeno la questione 'igiene personale' perché è un baratro senza fondo.

L'autoproduzione è una scelta da elogiare, ma chiunque abbia un minimo di dimestichezza con l'agricoltura sa che per produrre tutto ciò che serve ad una famiglia, senza ricorrere a tecniche inquinanti, serve una certa quantità di terreno, tale che se davvero ognuno di noi si mettesse a coltivare il suo orto probabilmente ricopriremmo il pianeta cancellando ogni traccia di boschi e polmoni verdi, per non parlare della quantità di acqua necessaria.

Questo mi porta direttamente alle scelte alimentari, la più demonizzata delle abitudini è mangiare la carne a causa dell'inquinamento causato dagli allevamenti intensivi, e alcuni vegetariani o vegani (non tutti, perché è una scelta che si può fare anche per altre ragioni) scelgono questo stile di vita proprio per ragioni ecologiche. Qui i ma si sprecano, dai mari inquinati e depauperati dalle pesche intensive, alle uova e ai latticini che - esclusi quelli di contadini e allevatori locali - provengono esattamente da dove proviene la carne, a coltivazioni inquinanti come la soia, al fatto che molti di questi alimenti tutto sono tranne che a km 0 (soprattutto il fantomatico 'bio'), agli incarti (inutili) di ogni genere che sembra impossibile eliminare del tutto.

Persino la cultura ha un costo ecologico, inquina di più la carta stampata o produrre tablet per la videolettura? Almeno la carta si può riciclare, gli alberi si piantano, un tablet rotto non si recupera mai in toto, ma non saprei davvero nel complesso quale delle due sia la scelta più corretta, soprattutto immaginando un tablet per ogni persona che legge.

E' così che si arriva al disincanto. Da una parte ci sono quelli che dedicano la loro intera vita al 'green', che però ti mostrano anche cosa comporta in termini di tempo o denaro l'ecologia a 360°. Dall'altra quelli che dicono che è inutile fare una cosa se poi non fai tutte le altre, a volte sono gli stessi che vivono 'green', più spesso quelli che per pigrizia non fanno nulla e cercano una giustificazione. Nel mezzo c'è la maggior parte della gente, che non ha materialmente il tempo di dedicarsi a ogni aspetto del vivere 'green', che non ha le possibilità economiche per supplire alla mancanza di tempo, ma che cerca di fare almeno qualcosa, chi più chi meno.

Allora che si fa, mentre aspettiamo che le industrie eliminino il più possibile gli incarti, che i supermercati smettano di costringerci a usare buste (riciclabili) e guanti (non riciclabili!) per la frutta e la verdura, mentre aspettiamo che la raccolta differenziata si estenda ad ogni zona del paese e non solo ad alcune città o addirittura quartieri, mentre aspettiamo che i mezzi pubblici non ci facciano impiegare anche due ore per raggiungere due estremi di una città?

Cominciamo dalle piccole cose e dai compromessi, cercando di valutare realisticamente se il risultato ci porta davvero ad essere ecologici o se invece mettendo 'una pezza' da una parte non stiamo facendo peggio dall'altra. Se pensiamo che non mangiando carne stiamo facendo qualcosa per l'ambiente, ma poi ricorriamo a prodotti industriali a base di soia, quinoa e altri prodotti da coltivazioni intensive ed estensive, che spesso vengono pure dall'altra parte del mondo, forse dovremmo riconsiderare questa scelta. L'alimentazione mediterranea (quella vera, non lo scatolame e i piatti pronti del supermercato) potrebbe essere una soluzione di compromesso che non ci fa mancare nulla inquinando il meno possibile. E cerchiamo anche di mangiare solo quello che ci serve, almeno per la maggior parte del tempo, perché il sostentamento umano inquina, sempre, e noi sprechiamo pure tanto.

Se non abbiamo tempo per andare direttamente dal contadino o al mercato km 0, possiamo prendere gli alimenti sfusi all'interno degli ipermercati, ce ne sono che vendono senza incarto anche i cereali e i legumi, basta cercare. Se non abbiamo meno di 10 anni, più di 70 e i nostri reni e vescica sono in salute, non compriamo acqua in bottiglia e di inverno anziché accendere i termosifoni mettiamoci due maglioni e due paia di calzini. Cerchiamo di riciclare da noi il riciclabile, dal vetro ai vestiti e persino il compost se viviamo nei pressi di zone agricole, quando non sappiamo che farne di qualcosa regaliamola a chi ne fa uso. Ricordiamoci quando dobbiamo fare un'acquisto che le cose più durano e più sono 'ecologiche', buttare un cellulare l'anno perché si rompe subito o comprarne uno nuovo quando quello vecchio è ancora funzionante sono più o meno la stessa cosa.

Le soluzioni per spostarsi senza inquinare sono molteplici, i piedi, i mezzi pubblici, la bici, il car sharing, le auto ibride o elettriche, almeno una di queste è sicuramente alla portata di ognuno di noi. Proviamo a fidarci dei detersivi ecologici e cerchiamo di usare quelli quando non possiamo fare altrimenti. Chi può si dedichi all'autoproduzione, non saremo mai così tanti a farlo da rischiare di disboscare il pianeta e intanto chi lo fa ha sicuramente un impatto minore sull'ambiente rispetto a chi compra nei supermercati o nei mercati non a km 0. Non accendere inutilmente le luci ed evitare sempre di usare stoviglie di plastica (che NON sono riciclabili, al massimo sono fatte con plastica riciclata, non fate confusione tra le due cose) possiamo farlo tutti, senza se e senza ma.

Pensiamo a cosa facciamo ogni giorno che possa inquinare e proviamo a trovare una soluzione, se possibile netta, più realisticamente di compromesso, che riduca questo inquinamento, badando però che la soluzione sia davvero, almeno in parte, 'green', e che la cura non sia peggiore della malattia. C'è sicuramente una cosa che ciascuno di noi può fare per inquinare meno di quanto faceva fino a ieri, domani saranno due, poi tre e forse non saranno mai abbastanza, ma se usiamo questa come una scusa, se pensiamo che il non poter fare tutto non sia abbastanza e quindi non facciamo assolutamente niente, diventeremo tutti come quelle cariatidi lì che se la prendono con degli adolescenti sognatori, probabilmente utopisti, solo per distogliere l'attenzione dall'aver mandato a puttane un pianeta, in appena centocinquant'anni di industrializzazione.

domenica 10 marzo 2019

Social ansiosi

Qualche sera fa con Francesco ragionavamo, da 'dinosauri' del web quali ci sentiamo, di come questo strumento sia cambiato nel corso degli ultimi dieci anni e di quanto i social abbiano cambiato non solo il web stesso, ma anche le persone. Spesso si discute se il problema siano i social o le persone, se i primi influenzino il modo di comportarsi delle seconde o se ne abbiano solo messo in luce il lato peggiore. 

'Una volta' stare su internet non era così, sia chiaro che un web senza polemiche non è mai esistito, ma oggi molte persone che non hanno vissuto il periodo dei forum, delle pagine e dei blog personali, non sanno oggettivamente come ci si deve comportare in un non-luogo privo di relazioni verticali e di vere e proprie regole. 

Spesso per il loro utilizzo di internet, e dei social in particolare, si prendono in giro i 'baby boomer' (i nati tra il 1945 e il 1964) e la 'generazione X' (i nati 1964-1980), ma nemmeno i 'millennial' (1980-1999) sono esenti da quegli atteggiamenti anti-sociali, forse perché la maggior parte di noi ha in realtà iniziato a usare internet solo con la nascita di Facebook.

Francesco faceva un'analogia interessante tra Facebook (in italiano dal 2008) e la scuola, dieci anni equivalgono infatti alla durata della scuola dell'obbligo e considerato il tempo che ci si passa 'sopra', e quanto le notifiche e il messenger ci tengano in realtà sempre connessi ad esso, ha sicuramente plasmato il modo di ragionare e il comportamento di molti di noi.

Il come non lo spiego perché credo lo abbia fatto molto bene Rossella nella seconda parte di un suo post (link), non ho visto la trasmissione di cui parla ma riguardo ai meccanismi dei social riferisce le stesse cose che diceva Francesco, che è informatico e coi social ci lavora.

Oggi, per chiudere il cerchio, ho letto il post di Marina (link) che parla di come i social possano peggiorare gli stati d'ansia in chi già ne soffre. L'articolo, che consiglio di leggere, si conclude con la proposta di un esperimento. Per quanto mi riguarda non solo proverò una sera a settimana - almeno - a lasciare lo smartphone fuori dalla camera da letto, ma ho anche silenziato tutte le notifiche (tranne quelle di Francesco e dei miei genitori) sulle varie app.

Vorrei anche provare a seguire un altro consiglio di Marina, quello di evitare o quantomeno limitare l'accesso a informazioni e discussioni che ci danno il 'mal di pancia', dando invece risalto ad argomenti che ci piacciono e parlandone in modo positivo. 

Ho smesso di seguire tribune televisive da un pezzo, guardo al massimo un TG al giorno ed evito di acquistare il quotidiano più di una volta la settimana, ma le polemiche e le discussioni condite da insulti di ogni genere su internet si annidano ovunque, quindi è arrivato il momento di fare qualcosa in merito anche qui.

Sui social la persona più insospettabile e l'argomento più neutro e vanesio trovano feroci e arrabbiati detrattori, che quasi sempre chiosano con offese di vario genere. Vorrei provare a disintossicarmi, per quanto possibile, da questa pesantezza e ho deciso di farlo anzitutto cestinando il post che stavo scrivendo sui No-vax e la famiglia romana contro cui si stanno accanendo, non credo che l'argomento abbia bisogno di altri commenti rancorosi e non voglio essere io ad aggiungerli, per cui, se mai ne parlerò, non sarà nei termini in cui lo stavo per fare.

Credo, come Marina, che il modo migliore per avere il web e i social come li vorremmo sia costruirli dal basso, senza aggiungere altra polemica, altra rabbia e altri insulti. Probabilmente ha ragione Rossella quando dice che questo atteggiamento viene ignorato, ma se non può cambiare quello degli altri, generando imitazione, può sicuramente cambiare il nostro modo di stare 'qui', possibilmente con molta meno ansia.

domenica 3 marzo 2019

Freak!

Ho iniziato ad usare i ‘social’ da piccola, alle medie ero l’unica ad usare MSN, all’epoca non era nemmeno un’app ma solo una browser chat. Ho avuto account su MySpace (ma non NetLog, perché era da ‘truzzi’), Flickr, Splinder (per chi lo ricorda), deviantART... Ho iniziato prestissimo a smanettare con HTML, CSS e Photoshop, cose che mi piacerebbe riprendere in mano, ma in questo nuovo web fatto di JavaScript, siti dinamici e artisti digitali mi chiedo sempre a che pro.

Mi rendo conto di non riuscire ad adeguarmi a Facebook, che dai miei coetanei viene generalmente usato, e probabilmente lo è, come una vetrina. A volte postavo mie opinioni su qualcosa, ma ho finito con il tornare su Twitter; a volte postavo foto di ciò che facevo o vedevo, ma non riesco ad accettare il meccanismo per cui si debba postare una foto ‘brutta’, o 100 foto per la maggior parte inutili, di una serata o di una vacanza; ogni tanto posto canzoni, senza commenti, come si usava fare sotto il nickname di MSN nella speranza di comunicare uno stato d’animo, mentre per lo più se si posta della musica lo si fa per affermare i propri gusti. Cerco di seguire pagine con temi che mi interessano, ma per come funzionano gli algoritmi del sito finisce per darmi noia tutto.

Instagram lo uso come Flickr, almeno quando lo tengo aperto, come ora. Anziché postare foto del cosiddetto ‘lifestyle’ (cosa mangio, cosa bevo, dove vado, chi vedo, come mi vesto), che al massimo metto ogni tanto nelle ‘storie’, cerco di postare solo foto che ritengo sotto qualche punto di vista esteticamente valide. I miei account preferiti sono quelli di arte e fotografia paesaggistica e naturalistica, per le cose veniali (sono forse un’insospettabile fanatica di make-up e alta moda) ho un account secondario dove prima o poi mi piacerebbe iniziare a postare foto dei miei make-up, ma mi chiedo se ne varrebbe la pena, non essendo né una MUA né un’accattivante Clio o simili.

Dopo varie indecisioni ho riaperto un blog, questo qui, ma oggi le persone che allora non usavano i social hanno un rapporto strano coi blog, specie quelli personali. Il 90% di chi mi segue mi risponde in chat privata o al limite su Facebook, su cui non mi piace condividere i miei post ma lo faccio per chi mi dice che altrimenti se li perderebbe. Mi piacerebbe avere anche un blog tematico di scrittura o mitologia, ma non trovo mai la giusta ispirazione. Un po’ ho nostalgia di quando i blog erano un’altra cosa, un po’ anche allora si trovava molto ciarpame mal scritto o tanta gente che parlava solo di politica e massimi sistemi.

Amo la musica ma ho gusti particolari, che non vuol dire più belli o più brutti di altri, credo siano semplicemente ‘complessi’, nel senso che non sono patita di un genere in particolare. Amo la musica classica, quasi tutti gli stili chitarristici, preferisco il metal con influenze classiche, ascolto il punk e la dark wave, il pop-rock anni ‘80, l’indie ma detesto il jazz e non ho mai capito i Nirvana. Spesso preferisco sorvolare sui miei gusti musicali e non condivido molto ciò che suono, perché non so a quanti interessi l’arpeggio di ‘Is there anybody out there’ o ‘Canon D’ suonata sulla banale chitarra classica anziché elettrica, come faceva anni fa quel ragazzino fenomenale su YouTube.

Sono sempre stata appassionata di mitologia, è iniziata con Dante, da bambina mia madre mi faceva leggere la Divina Commedia e intanto me la spiegava, mi innamorai perdutamente di Ulisse e della sua hybris, iniziai a leggere tutto quel che potevo su di lui e poi su tutta la mitologia greca. Negli anni ho aggiunto quelle romana, celtica e scandinàva (sì si pronuncia così, con questo accento qua), sempre alla ricerca di quel filo che partendo da Ulisse mi ha portata fino ad Odino. Negli anni non ho mai trovato spiriti veramente affini, mi sono iscritta a Scienze storico-religiose perché fuori dall’università c’era quasi solo attenzione per cose che per me non erano fondamentali e poca o nulla per cose che per me erano imprescindibili. Dentro l’università mi sono confrontata con un numero per me incredibilmente alto di persone che amano studiare il cristianesimo e i pochi che come me inseguono il politeismo sono per lo più fenomenologi o antropologi che storici.

Adoro la storia, le etimologie, la filologia, le genealogie, ricomporre a uno a uno i tasselli fino alle origini del mondo, degli dèi, degli uomini, seguire a ritroso gli spostamenti di genti, cercare di scoprire dove è cominciato tutto e com’era in principio. Inseguo Ulisse, Atena, Hermes, Odino e gli altri nel tempo, cerco i loro primi nomi, le loro prime forme, il primo popolo che li ha venerati attraverso quelli noti e le figure composite che conosciamo. Non sono una fenomenologa, amo le forme particolari e le ricostruzioni precise perché voglio arrivare all’esatta origine, al vero principio, non inferirlo facendo una media dell’idea di Dio. La storia degli uomini e dei popoli, fuori dagli ambiti accademici, viene utilizzata solo per provare la divisione tra le ‘razze’ o la diretta discendenza di una nazione o regione geografica da un qualche popolo il cui patrimonio genetico e culturale si è dissolto negli altri da secoli o millenni. A me piace avere origini tanto diverse tra loro e a un certo punto, arresami davanti all’impossibilità di ricostruirle da sola, ho fatto uno di quei test genetici di cui attendo curiosa il risultato. Avessi l’1% di ogni ‘etnia’ del mondo ne sarei solo che felice, sapere di raccogliere in me popoli e culture diverse mi farebbe sentire più parte del mondo che di una nazione.

Cerco di prendermi cura del mio lato spirituale, non sono e non riesco veramente ad essere monoteista, mi spiegarono che in questo c’è una ragione psicologica che dipende dalla nostra prima infanzia, ma si sa che in psicologia non ci sono due scuole concordi su qualcosa. Ho sempre avuto una divinità, un’ipostasi o un eroe ‘preferito’ in ogni pantheon che ho conosciuto. Mi interessano le pratiche che fanno acquisire consapevolezza delle proprie energie e connessioni spirituali, i Tarocchi e l’astrologia, molto meno le pratiche rituali. In questi ambienti è quasi impossibile trovare qualcuno che non sia almeno vegetariano, no-vax e contrario a farmaci e medicina moderna e non ne posso veramente più delle teorie pseudo-scientifiche di quelli che si ‘informano’.

Amo la poesia, l’illuminismo in filosofia e il romanticismo nell’arte, il fantasy e la fantascienza per le ideologie che veicolano. Sono medievalista nell’animo, non c’è dato storico che tenga di fronte a Tasso, Shakespeare o Tolkien, non mi importa nulla di tecnologie futuristiche ma invidio il genio di Asimov. Spesso mi arrendo di fronte a chi non comprende l’importanza di Boromir o Sam, non trema per il ‘ritorno del re’, preferisce ‘Romeo e Giulietta’ al ‘Macbeth’ o non empatizza per gli androidi di Asimov e non coglie le sue allegorie.

In tredici anni di diritto al voto non ho mai saltato un’elezione di qualsiasi tipo. Non parlo volentieri di politica perché sono una di quelli che si infervora. In generale trovo tutti disturbanti, anche quelli che votano ciò che voto io. Escluso il periodo dell’adolescenza, quando certe appartenenze anacronistiche sono quasi un obbligo, non mi sono mai identificata completamente in un partito o orientamento politico. Sono una di quelle persone che apprezza la satira pure sui ‘propri’ politici, mi sfugge completamente il concetto di censura e probabilmente se qualcuno si affidasse solo ai miei like su Twitter non riuscirebbe nemmeno a capire cosa voto, e infatti mi ritrovo sempre seguita da qualche leghista.

Volevo fare una distinguo, parlando, tra web e vita reale, ma mi rendo conto che non riesco a tracciare questo confine in modo netto, perché ormai è quasi impossibile non frequentare anche on line le persone della vita di tutti i giorni. Una quindicina di anni fa, da adolescente ‘nerd’, non speravo altro, oggi sono contenta di essere sempre in contatto con alcune persone, ma per la maggior parte questa sensazione di non poter staccare mai a volte mi angoscia.

Una volta mi sentivo speciale e diversa, ‘strana’, poi ho capito che lo stesso vale per tutti, solo che alcuni non lo danno a vedere e tengono per loro questa sensazione di non-appartenenza, ponendo l’accento solo sulle uguaglianze, e sono secondo me le persone più equilibrate (i Francesco, le Elisa, le Rossella), che alle volte invidio. Altri mettono a tacere il loro senso critico pur di sentirsi parte di qualcosa, sorvolando sulle discrepanze; altri ancora non fanno mai sentire la loro voce perché hanno paura di essere considerati diversi; entrambi, a differenza del primo gruppo, tendono ad attaccare le diversità altrui.

E poi ci sono quelli che affermano le loro differenze dagli altri al di sopra delle similitudini, perché le prime sono importanti quanto le seconde per sentirci sempre noi stessi. Non è l’essere diversi a fare di noi dei ‘freak’, ma il vivere allo scoperto la sensazione di non sentirci mai completamente a casa, mai completamente rappresentati dalle idee degli altri, sempre presi da una sorta di nostalgia per ciò che è stato e a cui avremmo potuto ‘appartenere’, ma che probabilmente è esistito più nella letteratura e nell’arte che nella realtà.

A Simona e Riccardo, che con alcune cose saranno d’accordo e con tante altre no, perché sono diversi da me e affermano sempre la loro diversità rispetto a chiunque altro.

mercoledì 27 febbraio 2019

Sul serio?

Sono una persona inopportuna. Quando racconto qualcosa sono sempre ironica e uso spesso l'iperbole, dando per scontato che l'esagerazione sia chiara e chiaramente voluta. Faccio battute pesanti o sceme sceme, come giochi di parole per cui rido da sola anche il giorno dopo. Dico molte parolacce anche in situazioni sconvenienti, pronuncio più spesso la parola 'cazzo' di Hugh Grant in Quattro matrimoni e un funerale. Sono cresciuta con Family Guy e South Park e ci sono rimasta malissimo quando hanno interrotto Brickleberry, potete immaginare su quanti argomenti seri e fuori luogo riesca a scherzare. E preciso che ci scherzo su e basta, perché dò per scontato che i 'fatti' dimostrino che non sono il tipo di persona che pensa davvero certe cose. Anzi, solitamente mi incazzo con gli altri quando capisco che dicono qualcosa di negativo con ironia ma lo pensano davvero. Per me una battuta sugli Ebrei fatta da un antisemita (anche ebreo) o da un non-antisemita (anche non ebreo) sono incommensurabili, alcuni si risentirebbero in entrambi i casi, io solo nel primo e anche parecchio. Poi, seriamente, quando 'odio' qualcosa o qualcuno si vede lontano un miglio, ce l'ho scritto in faccia, non riesco a soffrirne neanche la presenza, figuriamoci se riesco a fingere per convenienza che non sia così (e mi piacerebbe saperlo fare).

Ora, se qualcuno mi dicesse "Guarda Si', sei pesante, non sopporto che scherzi su argomenti seri, che ridi due ore per la parola 'sgommarello' e rispondi 'un fiorino' ogni volta che ti si chiede qualcosa, che bestemmi e dici continuamente parolacce, poi tu scherzi su tutto quindi non capisco perché io non posso dire che i Neri devono bruciare solo perché lo penso davvero, e comunque non fai ridere" lo accetterei, non possiamo piacerci tutti. Ma ancora a 31 anni mi sorprende la capacità di alcuni di intendere seriamente tutto quello che sentono. Ogni tanto faccio il calcolo di quante persone pensino che sia razzista, cinica, maligna, zoccola, che non sappia usare il congiuntivo e il condizionale (le battute ipotetiche si fanno all'indicativo, ce dovete sta') e una rincoglionita totale (sì sono rincoglionita, ma mi piace pensare di esserlo alla maniera carina della commedia british), e mi rendo conto che il numero è forse più alto di quelli che capiscono che lo scherzo si chiama così proprio perché è solo scherzo. Quello che mi stupisce ancora di più, però, è come queste persone riconducano ogni cosa che faccio o che dico alle quattro stronzate sulle quali ironizzo. Quando il mio comportamento abituale (e sottolineo abituale) dimostra che non sono in un certo modo, secondo loro è perché sto fingendo per dimostrare di essere 'migliore' o, di contro, che sto comunque dicendo o facendo qualcosa di 'cattivo', ma in maniera più criptica e contorta. A volte il senso di un commento neutro o addirittura di un complimento è stato stravolto così tanto, per cercare a tutti i costi di farlo passare per un insulto, che avrei voluto complimentarmi per lo sforzo intellettuale da esegeta che cerca di provare l'esistenza della Trinità anche dopo che è stato dimostrato che il Comma giovanneo è un'aggiunta seriore.

Ogni tanto mi chiedono perché se conosco gente nuova quasi non parlo, sono 'simpatica' e 'intelligente', non dovrei farmi problemi. Amori miei, forse è perché conosco persone da dieci o vent’anni che sono ancora convinte, solo per le battute che ho fatto la prima volta che abbiamo parlato, che io sia un potenziale serial killer, ma di quelli che hanno preso troppe botte in testa da piccoli e hanno l'età mentale di un dodicenne, non di quelli colti e super geni alla Hannibal Lecter. A 'na certa meglio che mi metto nell'angolino a ridere da sola ripensando alla scena de lo Santo Romito Pantaleo che ammolla a Brancaleone il tomo sull'omoiusia e l'omousia, passo comunque per una psicopatica ma almeno di quelli innocui-bizzarri e non di quelli pericolosi-criminali.


sabato 12 gennaio 2019

"Tu non hai figli, non puoi capire"

Ultimamente mi sono data alla visione di programmi trash ed ho scoperto che strumento quasi imprescindibile per chiunque voglia condividere le proprie opinioni in merito è Twitter, così mi sono lanciata ed ho creato il mio account che ovviamente riempio di commenti non richiesti. Oltre ai trashofili, due categorie di twitteri che vanno per la maggiore sono i politologi e i lamentosi. Se hai una cosa qualsiasi di cui senti il bisogno di lagnarti in 180 caratteri Twitter è il posto giusto per te, se lo fai in modo divertente ti seguo e anche volentieri perché due risate sul male di vivere non guastano mai.

Oggi, grazie a un tweet-lamento random, ho scoperto che se vuoi veramente fare incazzare qualcuno è sufficiente recitare la formula magica "tu non hai figli, non puoi capire". Purtroppo nonostante i sette mesi e mezzo di maternità non ho avuto ancora modo di dirlo a nessuno, ma credo che inizierò a farlo a caso solo per vedere la gente impazzire. "Come stai oggi?", "Eh, tu non hai figli, non puoi capire", e giù di crisi idrofoba e attacco epilettico. E' tipo un superpotere. Praticamente funziona così: se vai da un minatore e gli dici quanto sia faticoso il tuo lavoro di impiegato, quello te sbrocca, e ce stai; se vai da una persona che 'lavora al pubblico' e gli dici come dovrebbe comportarsi coi clienti, quando te fai il programmatore, te se magna vivo, e ce stai; se vai da un palestrato e provi a spiegargli quali proteine dovrebbe assumere e te hai 15kg de sovrappeso, te ride in faccia e se gira dall'altra parte, e ce stai. Ma se sei genitore e provi a dire ad uno che non lo è che forse te sai de che parli e lui no, occhio alla giugulare ché è un attimo che te la apre a mozzichi.

Inutile dire che se non vesti i panni di un altro non sai cosa prova, che ogni situazione è a sé stante, che persino io da mamma se sento un'altra lamentare un problema che non ho vissuto in prima persona, perché magari m'ha detto bene o ho fatto una cosa in maniera diversa e non m'è capitato lo stesso incidente di percorso, mi cucio la bocca, ascolto lo sfogo dell'altra e me faccio un paccotto de cazzi miei evitando di dare consigli. Se invece abbiamo vissuto lo stesso episodio allora racconto come l'ho superato io, ma se l'altra vuole provare a fare come me o no non mi riguarda, anche perché so' madre dall'altro ieri e magari a una che lo è dalla settimana scorsa glie po' rode anche un pochetto se salgo in cattedra, ma anche una che è madre da stamattina potrebbe non gradire.

Sì perché quando hai un figlio impari una cosa prima ancora di partorirlo: tutti sanno meglio di te come dovresti crescerlo. Non importa quanto siano stati anaffettivi o abbiano sbagliato con te i tuoi genitori, tuo figlio lo crescerebbero meglio loro. Poi ci sono ginecologi, ostetrici e pediatri che non hanno mai, e dico mai, due pareri concordi su come dovresti affrontare un determinato problema, ma una cosa la sanno benissimo: se succede qualcosa la colpa è tua. Nella pancia non cresce? E' perché mangi male, uno dice che mangi troppi carboidrati, l'altro che ne mangi troppi pochi, un altro è sicurissimo che dovresti nutrirti di solo prana, ma comunque la colpa è tua che non sai magnà, non c'è altra possibilità, e quando il bambino nasce e sta 'na crema nessuno dirà "me sa che avevo detto 'na cazzata", capace che la colpa è tua che t'eri messa male sul lettino durante la morfologica e gli avevi sballato le misure.

Dopo che è nato ancora non cresce quanto dicono loro? Non mangi abbastanza, poco importa se invece che dimagrire come le altre stai lievitando come un panettone di Massari, chiaramente non stai mangiando, perché non c'è altra possibilità che il pupo non cresca se non che tu stai a fa' qualcosa de sbajato. Pure se non glie ne frega di attaccarsi al seno la colpa è tua, io mi sono armata per cinque mesi di qualunque forma e misura di tiralatte, cucchiaini, biberon, strani attrezzi con cannule da appiccicarsi addosso con lo scotch e Margherita comunque metteva su meno della metà del peso che doveva. Ma, secondo specialisti, amici e parenti, se la pupa non metteva su peso era chiaramente perché le davo troppo latte artificiale, perché glie ne davo troppo poco, perché usavo il biberon, perché non lo usavo, perché la attaccavo troppo poco al seno, perché la attaccavo troppo, e l'unica soluzione era smettere di allattarla al seno, allattarla esclusivamente al seno e alternare seno e biberon. La bambina al seno la attaccavo male e la attaccavo bene, a seconda dell'ostetrico e della posizione della costellazione dell'Acquario.

Capite a che punto arriva il "tu non hai figli, non puoi capire" o "tu non sei me e non hai questo figlio, quindi non puoi capire"? Quando a 'na certa avete sbragato talmente tutti quanti il cazzo con le vostre ottomila opinioni tutte diverse ma 'chiaramente' le uniche giuste possibili, dal pediatra al parroco passando per il fruttivendolo, che uno sbotta male, anche perché magari non v'ha manco chiesto un parere o perché sta già frustrato dalla situazione in sé per sé e non è propriamente in vena di paternali. Per dire, un bambino che sembra non crescere nella pancia, con metà dei ginecologi che minaccia di indurti il parto a sette mesi per metterlo in incubatrice, e che quando nasce non mette su peso ma anzi ne perde, n'è che te manda proprio a letto sereno e col sorriso eh, pure se non ce ricordate ogni cinque secondi che è 'na cosa brutta se avvilimo uguale da soli, grazie lo stesso, come avessimo accettato.

I professionisti, giustamente, sono quelli che ce restano più male. "Che fai non me dai retta? C'ho la laurea!". Sì amore mio, ma come te ce l'hanno gli altri otto ginecologi che m'hanno visto la patata solo 'sto mese, e ti assicuro che se ve metto tutti in una stanza ve scannate perché pare che avete studiato otto cose e visto otto patate diverse. E uguale amici e parenti. Capisco che dal vostro punto di vista quello che dite è molto sensato, logico e giusto, ma se dessimo retta a tutti quelli che sono convinti di dire cose sensate, logiche e giuste, probabilmente i ragazzini ci prenderebbero fuoco in mano. Non è che non vi reputiamo in grado di dare un parere, ma se dal vostro punto di vista è Il parere, dal nostre è un, e alla fin fine quale seguire e se seguirne uno lo decidiamo noi, che nella situazione che per voi si risolverebbe con un click ci viviamo, e a differenza vostra viviamo il non indifferente carico psico-emotivo che quello è nostro figlio e che la sua vita dipende da noi e qualunque cosa andrà male sarà a causa nostra e qualunque cosa andrà bene sarà nonostante noi. Dopo un po' il "sì ok ma comunque sticazzi" arriva d'ufficio.

La banale verità infatti è che un figlio come lo cresci lo cresci male. A 'na certa sarà incazzato nero con te e penserà che chiunque sarebbe stato un genitore migliore di te, pure una coppia di tossici o di diavoli della Tasmania, e se ti giudicherà particolarmente incapace anche quando avrà 50 anni con te sarà sempre un 15enne scassacazzo e riottoso che te farà la guerra come se tu avessi ancora 40 anni e la forza de daglie retta. I più coraggiosi hanno l'utopica speranza che i figli non sogneranno mai di ballargli la macarena sulla tomba, ma basta guardare come si comportano i nostri genitori coi nostri adorati e mitizzati nonni per rimettere i piedi per terra. Tutti abbiamo un'idea che secondo noi è giusta su come allevare i figli, il più delle volte è fare proprio uguale ai nostri genitori o totalmente all'opposto, come quella lì ma mai e poi mai come quello là.

La differenza tra chi ha un figlio e chi non ce l'ha è che chi ha un figlio ha provato a mettere in pratica questa idea è s'è potuto rendere conto, fin dalla prima ora, che nella pratica era molto peggio di com'era in teoria, che pure se a te sembrava fenomenale a tu fijo magari glie fa schifo e che non in tutti i momenti, in tutte le situazioni, tutti i giorni della tua vita riesci a tenere il tuo irrealistico punto. Perché sei solo un essere umano, a volte ti sveglierai con la luna storta, altre non avrai la prontezza di fare la cosa 'giusta' al momento giusto, e pure se qualcuno vorrebbe che per fare un figlio rilasciassero un patentino, dopo aver sostenuto un esame di anatomia e ricevuto un attestato di accertata sanità mentale, rimane il fatto che per riprodursi spesso basta volerlo e a volte capita pure per caso. State rilassati, che la pedagogia l'hanno inventata più o meno nel 1950 ma l'umanità si riproduce da un pochetto di più.

E' normale non capire cosa prova un altro ed è normale non capire cosa si prova in una situazione che non si è mai vissuta, provate a immaginare quanto sia difficile capire le due cose insieme. Pensate a tutte le volte che qualcuno v'ha detto "io farei così" col vostro lavoro, il vostro compagno, il vostro animale domestico o la vostra casa, e ora provate a immaginare che ve lo dica qualcuno che non ha mai lavorato, non ha mai avuto un compagno, un animale domestico o una casa e soprattutto che non è voi, cosa gli rispondereste? Pensate anche a tutte le volte in cui sapevate esattamente come vi sareste comportati in una determinata situazione, e poi quando si è presentata avete fatto tutt'altro.

Questo è un post ironico, non ha la pretesa di far capire niente a nessuno, di cambiare l'opinione di nessuno, quando non avevo figli la pensavo esattamente come chi non ha figli, ora che ne ho uno la penso esattamente come chi ne ha. E' normale che non si parli la stessa lingua, come è normale vedere qualcuno che sbaglia e avere voglia di scuoterlo e dirgli "smettila, non vedi che fai solo danni", e forse è anche normale non avere dubbi sul fatto che noi sapremmo fare sicuramente meglio, perché tanto quella precisa situazione non la vivremo mai e non avremo mai la prova che faremmo davvero meglio o peggio, un po' come quando si urla contro l'allenatore durante il derby.

E questo come dicevo vale anche per gli altri genitori, vedo tutti i giorni diatribe tra madri di quattro figli che fanno due lavori eppure hanno la casa tirata a lustro e sono sempre truccate e vestite in modo impeccabile, e madri di un figlio solo, casalinghe, che a volte arrivano a sera senza ricordare se quel giorno si sono mai lavate i denti. E' tutto un rinfacciarsi chi ha più aiuti, più soldi, più forza di volontà, e va bene così perché dopotutto essere genitori è solo una delle espressioni della vita umana, tra un "dovresti fare così" e l'altro. Alla fin fine se damo tante arie, ma stamo solo a porta' avanti 'na specie tra le tante.