bimbilla

martedì 19 dicembre 2017

Non tutto è bullismo

In alcuni momenti della mia vita sono stata oggettivamente vittima di bullismo, quando solo perché ero un bersaglio facile, l'elemento debole del gruppo, gli altri si sono accaniti su di me con aperta e inequivocabile cattiveria gratuita. L'aspetto divertente in questi casi è che quando reagivo, rendendo pan per focaccia, cadevano tutti dal pero, come si stupissero che io non fossi d'accordo nel ritenermi inferiore a loro, e che anzi magari pensassi addirittura di essere migliore.

In altri momenti il bullismo non c'è stato o non c'è stato propriamente, ma comunque mi sono sentita esclusa, derisa, sottovalutata, bistrattata. Alcune volte ho dovuto ammettere con me stessa, col senno di poi, di aver contribuito almeno in parte a rendermi vittima, poi non così vittima. Perché nessuno si permette di dire a quell'altra che è sovrappeso? Perché a Tizia non la prendono in giro per i capelli crespi e a Caia nessuno fa notare che è vestita male? Perché a me sì? Perché infondo me la cercavo. Ripensando al mio comportamento, a come mi relazionavo con gli altri, a come mi rivolgevo loro, alle parole che usavo, al tipo di battute che facevo, a cosa pensavo di loro, non posso che rispondermi che chi semina vento... E le altre, a differenza mia, non seminavano vento.

Allora ogni tanto, non sempre, quando vedevo qualcuno come me, che tutti trattavano come venivo trattata io, mi facevo muovere a compassione e provavo a comportarmi in modo più comprensivo degli altri. Mi riferisco precisamente a persone che vengono emarginate o messe in mezzo con cattiveria a causa (o anche a causa) di loro stesse, perché sono moleste senza rendersene conto o se ne rendono conto ma non riescono ad evitarlo. Non parlo invece delle situazioni di bullismo veramente gratuito, né dei casi in cui una persona tende ad isolarsi o ad essere isolata solo per timidezza o introversione (di cui parlo in quest'altro post).

In questi casi, dicevo, tendevo a pensare che se quando mi comportavo così male da inimicarmi tutti qualcuno mi avesse trattata diversamente, facendomi capire quanto e come sbagliavo, avrei potuto avere rapporti migliori con chi mi circondava, subire meno angherie ed essere più felice. Quello che mi aspettavo è che l'altro apprezzasse la differenza tra il mio atteggiamento e quello altrui e che ne traesse un'occasione di miglioramento, ma ho dovuto constatare che non avviene mai né l'una né l'altra cosa. Anzi, quando mi è capitato di dare spazio ad una persona che non era abituata ad averne, o che ne aveva ma non veniva mai presa sul serio, senza volere sono diventata gran parte del suo mondo e così tutta la sua insoddisfazione, il suo rancore e la sua rabbia avevano me come unico canale di sfogo, perché ero l'unica che stava lì a dargli attenzioni e ad ascoltarli. Incredibilmente questo anziché avere per loro una connotazione positiva in molti casi l'ha avuta negativa.

Anche se non passavo con quella persona la maggior parte del tempo, perché vedevo e sentivo anche altri amici, qualcosa nella qualità del tempo che passavamo insieme li convinceva che esistessi solo per loro e, sorprendentemente, anche questo ha avuto sempre risvolti negativi. Quando si è trattato di ragazzi (o di ragazze gay) si sono sempre convinti, per me ispiegabilmente, che da parte mia ci fosse un interesse romantico. Curiosamente anche gli altri tendono a convincersi che se dài spago ad un emarginato o strano è perché ti piace. Una volta lo trovavo bizzarro, poi ho capito che è come nel Piccolo principe: se dedichi parte del tuo tempo a qualcosa dài per forza l'impressione di tenerci, anche se le tue ragioni sono altre e riguardano più te che l'altro, come l'aiutare il te stesso del passato, o l'irrefrenabile impulso di psicanalizzare qualcuno per provare a risolvere i suoi problemi.

E' difficile far comprendere a chi non è come me che non riesco ad essere sempre respingente con queste persone perché mi dispiace per loro. Ed è difficile far capire a queste persone che, nonostante la comprensione, a volte esagerano al punto che ho bisogno di allontanarmi. La prendono sempre molto male e diventano vendicative. A volte sono diventata così il centro - o quasi - della vita di qualcuno che mi sono state attribuite caratteristiche quasi demiurgiche, come se avessi il potere di fare e disfare la vita altrui, di procurare o togliere a mio piacimento amicizie e amori. Il movente da parte mia sarebbe stata l'invidia, ma di cosa - avrei voluto chiedere - se ho più io di te?

Altre volte l'altro è stato più onesto e anziché attribuire a me le sue emozioni ha ammesso di avermi attaccata e provato a mettere in cattiva luce per invidia, perché tu sì e io no? perché tu hai questo e io no? perché tutti sono tuoi amici e se fai una cosa sbagliata ti perdonano e a me no? E avrei voluto chiedere se capisci la differenza tra me e te perché non provi a metterla in pratica anziché tentare di dimostrare che io sia come o peggio di te? Ma credo che chi si trova in quella posizione spesso sia troppo frustrato dal divario tra ciò che ha e ciò che vorrebbe per rendersi conto dell'aiuto che, esplicitamente o implicitamente, ha chiesto e gli si sta provando a dare.

E' come se nel momento in cui, trovato qualcuno che la accetta per come è, nel senso che di fronte ai comportamenti più assurdi non scappa come fanno gli altri, ma prova a chiarire, a spiegare, a consigliare, questo tipo di persona anziché essere grata pensi se mi accetti per come sono significa che sei più spazzatura di me, e quindi posso riversare su di te tutto il mio peggio, farti scontare tutto quello che loro fanno a me. Ogni volta che ho provato a trattare un emarginato o qualcuno che veniva trattato da scemo come una persona il risultato è stato diventarne a mia volta vittima. Posso darmi una spiegazione sul perché io mi faccia incastrare da queste situazioni, ma ancora non so spiegarmi come mai queste persone si comportino così per poi piangere di non avere nessuno, quando l'unica persona che cercava di esserci l'hanno poi allontanata proprio loro, e con rabbia.

giovedì 7 dicembre 2017

Timidi e introversi

Di recente ho letto un libro scritto da una persona che ho conosciuto vari anni fa in rete, autrice anche del My Way Blog, che secondo me vale davvero la pena di seguire. Il libro si intitola “La rana bollita” e racconta del suo (secondo) incontro con l’ansia e di come ha deciso di affrontarla. Mi ha fatto molto piacere leggerlo, lo trovo interessante per chi affronta lo stesso tipo di problemi ed offre molti spunti di riflessione. Penso sia molto utile anche per chi, non soffrendo d’ansia, abbia vicino una persona che ne soffre e che magari non riesce a esprimere cosa prova o come vorrebbe essere sostenuta.



***


Questa mattina mi è tornato in mente un punto del libro in cui Marina parlava di timidezza ed introversione e, seguendo il mio solito filo di pensieri a casaccio, è nato questo post.

Introvèrso agg. [part. pass. di introvertere]. – Ripiegato, rivolto in dentro, introflesso. Più com., di persona che ha forte tendenza all'introversione, a chiudersi nel mondo dei sentimenti e della fantasia.*

Tìmido agg. [dal lat. timĭdus, der. di timere «temere»]. – Facile a impaurirsi, che ha e dimostra scarso coraggio; più spesso, incerto, impacciato, esitante nel comportamento per timore di non riuscire, di essere giudicato male dagli altri, di apparire indiscreto.*



Mi è tornato in mente perché mi piace sempre riflettere sui tipi umani, e perché varie volte nella mia vita sono stata chiamata timida per le ragioni più disparate. A volte perché mi esce la voce più sottile del solito (a me sembra solo raucedine, ma tant’è), altre perché passo intere ore in silenzio anche in mezzo agli altri o giorni e giorni senza vedere gente.

Preferisco di gran lunga le situazioni con pochi intimi alle tavolate di 20-30 persone dove tutti parlano con tutti e nessuno parla con nessuno. Da quando sto con F. ho scoperto che ci sono persone che, per non lasciare indietro nessuno, dopo cena si dedicano ai giochi di società. Quindi dopo essere sopravvissuta non si sa come alle elementari, a 30 anni mi ritrovo catapultata nell'incubo di dover mimare il titolo di un film davanti a 20 persone che praticamente non conosco. Piuttosto passo il resto della serata appollaiata su una sedia a guardare gli altri.

Provo un fastidio viscerale per le situazioni in cui la persona con cui ho appuntamento si presenta senza sufficiente preavviso con un terzo elemento con cui ho scarsa o nessuna confidenza. Dentro di me penso adesso non potrò parlare di quello che volevo e invece avevo un sacco di cose che non vedevo l’ora di raccontarti. Non finisce per forza male, magari con il terzo in comodo mi trovo anche bene, ma è conversazione tanto per, non ciò di cui volevo parlare.

Alcune amiche, quando eravamo giovani e single, attaccavano bottone coi ragazzi degli altri tavoli o col gestore del locale, felicissime di scroccare un drink e dei complimenti. A me salivano le lacrime agli occhi, che serata è se invece di stare con le mie amiche devo parlare e bere con un estraneo? Potevi dirmelo che volevi rimorchiare, se sapevo me ne restavo a casa.

Dei tradimenti. Quella volta che metto la testa fuori dalla tana vorrei che fosse per qualcosa e qualcuno che valgano la pena, non tanto per. O, per dirla più ad affetto, Odio coloro che mi tolgono la solitudine senza farmi compagnia.

Potrebbe sembrare una cosa da niente ma anche il telefono è uno strumento a tratti angosciante. Partendo dal presupposto che preferisco quasi sempre la chat, spesso mi capita di ricevere una telefonata da qualcuno che conosco e fissare lo schermo del telefonino chiedendomi solo perché? cosa devi dirmi mai di così urgente per cui la chat non poteva andare bene lo stesso? se vuoi solo fare quattro chiacchiere perché devo fermarmi dal fare qualsiasi altra cosa nel mentre? non potevi scrivermi? mandare un vocale? Non mi capita con tutti, sia chiaro, anche se ora probabilmente non riceverò mai più una telefonata :P

Per carità, non sono così taciturna, anzi posso essere pure prolissa se ho cose da dire (dai post non sembrerebbe eh?) e se sono a mio agio riesco persino a parlare con più persone contemporaneamente. Se incontro un amico per caso ed è con un’altra persona che conosco poco o nulla non inizio a fare fumo; se esco con un’amica e so che si porterà dietro una terza persona magari fino all'ultimo medito di dare buca, ma poi esco; idem se devo partecipare a tavolate varie, mi basta potermene stare nel mio angoletto in silenzio senza che qualcuno cerchi di coinvolgermi in maniera forzata. Giuro che mi diverto anche solo ad ascoltare, tranquilli, solo non sento la necessità di intervenire attivamente.




Far capire questo concetto è una roba difficilissima. Stare in silenzio è come dire vorrei tanto parlare con tutti voi ma sono troppo timida per farlo, vi prego coinvolgetemi o, peggio, mi state tutti antipatici. Ci sono persone che vedono la timidezza e l’introversione quasi come una malattia e si sforzano di curarla, con risultati spesso disastrosi.

I giochi di società sono un esempio, un commensale silenzioso è un conto, magari due parole col vicino di posto le spiccichiamo od ogni tanto se abbiamo qualcosa da dire interveniamo, ma durante il gioco dei mimi? Chi non partecipa ha un faretto puntato addosso, il campanaccio dei lebbrosi, è praticamente un anti-sociale, ci sono già quelli di Criminal Minds fuori della porta che aspettano di sapere se tortura gli uccellini e fa la pipì a letto.


Prenderci in giro davanti a tutti, spostando su di noi di botto tutta l’attenzione generale, non è un gran metodo. Sì a volte può funzionare, ma se la battuta per noi è imbarazzante o non ci fa ridere? Ci mandate nel panico: mi ha messo a disagio o non mi ha fatto ridere, se rido gli dò confidenza e rischio che mi faccia un'altra battuta del genere, ma se non rido sembro permalosa, non voglio che ricapiti ma nemmeno che mi trovino antipatica. Andiamo in cortocircuito prima di riuscire a venirne a capo.

Se, in un gruppo, abbiamo una conversazione a tu per tu (o per tre, o al limite per quattro) e iniziate a dirci ma perché con gli altri non parli così? ma che ti vergogni? ti fai troppi problemi e sembri antipatica, invece sei simpatica! non ci aiutate molto. Intanto grazie del complimento ma ci state anche dicendo che sembriamo antipatici e questo ci farà tornare di corsa nella grotta. Poi è veramente inutile che vi sforziate di coinvolgerci con tutti gli altri, quelle cose tipo parlarsi sopra a vicenda o intervenire in conversazioni in cui non abbiamo nulla da dire o da aggiungere non fa per noi, ma non deve per forza significare che la conversazione non ci interessi e che gli altri ci stiano antipatici (vedete? stiamo sorridendo!). Se avessimo parlato a tu per tu (o eccetera) con uno di loro anziché con voi sarebbe andata più o meno allo stesso modo.



In alcuni casi si tratta di mera incompatibilità. Se c'è una persona che, per una qualsiasi ragione, è troppo fuori contesto rispetto al gruppo non è colpa di nessuno se non si integra, non è necessariamente antipatia, e anzi cercare di forzarla può fare solo peggio.

L'idea che mi sono fatta è che i più accaniti siano proprio gli altri introversi. A un estroverso, generalmente, non importa molto se l'altro è introverso, anzi alcuni la trovano persino una cosa positiva. In gruppo, poi, c'è una sorta di complementarità, gli estroversi parlano e gli introversi ascoltano. Mi sembra che sia più che altro una parte degli introversi a convincersi di avere la missione di salvare i restanti.

Lo penso perché a volte mi rendo conto di trovarmi dall'altra parte, a cercare di coinvolgere un altro introverso in una situazione dove io per una volta non lo sono, o a pensare ma guarda questo che antipatico che non dice una parola, eppure siamo persone divertenti. Una volta ho sentito una persona estremamente taciturna ed introversa lamentarsi stizzita di un'altra perché non parlava mai, e a cascata mi vengono in mente decine di esempi analoghi, nessuna pietà per i simili.

Lo penso anche perché è proprio nei contesti dove mi aspetterei di trovare il maggior numero di introversi che le persone si accollano di più se non parli. Per anni ho bazzicato giochi e videogiochi on line, frequentato forum e chat a tema pagano, e proprio in questi ambienti se sei timido o introverso patisci di più. Te la devi far passare, perché se non socializzi, se non ti integri nel gruppo, vieni emarginato. Non sempre, soprattutto se ti conoscono anche al di fuori, ma mediamente è così.

Non puoi semplicemente giocare o intervenire sul forum solo quando hai qualcosa da dire: se giochi devi essere nella chat vocale comune per tutto il tempo e parlare, se sei iscritto al forum devi scrivere almeno un post a settimana sull'argomento che ti viene assegnato dagli amministratori. Regole e compitini. Mi sono capitate di recente le mie pagelle delle elementari tra le mani, c'era il commento su quanto il bambino fosse socievole e integrato rispetto alla classe (indovinate la mia, hehe, anche se fino alla seconda ero normale, pare). Più o meno una cosa del genere.

Mi sono sempre chiesta ma perché? se siamo qui a scrivere di Wicca e di celti, se siamo qui a giocare ad un videogioco, anziché essere fuori ad interagire con gente in carne ed ossa, che bisogno c'è di tutto questo contatto umano? non dovremmo essere tutti sulla stessa barca? siete veramente qui per la Wicca e i videogame, o è per trovare quel gruppo e quella socialità che non potete avere (quale che sia la ragione) ma che vorreste nella vita di tutti i giorni?

Forse mi sono nutrita troppo a lungo di cultura romantica e l'introversione mi pare una cosa persino positiva, per quanto a volte pecco anche io di voler stanare l'altro dal suo guscio, e persino di provare fastidio nei confronti dell'introversione o della timidezza altrui. Nella società capitalista, e nella psicologia cognitivo-comportamentale che ne plasma i perfetti soldatini, non c'è spazio per la timidezza, considerata una debolezza, e per l'introversione, un difetto dello spirito, a meno che tu non sia un artista, un informatico e poche altre cose. Nascondiamo le copie de "I dolori del giovane Werther" e de "Il giovane Holden", sia mai che quelli di Criminal Minds siano ancora in giro a caccia di sociopatici.


Credo, in fin dei conti, di essere anche timida, ma principalmente introversa. Di non essere molto diversa da altri introversi quando provo fastidio per i miei simili, penso sia solo fastidio verso il riflesso di noi stessi, per il conflitto che si crea in alcuni tra la nostra indole e questa società, o per la banale eco dei rimproveri dei nostri genitori quando eravamo adolescenti (stai sempre in camera tua al buio, esci che oggi è una bella giornata, vieni a salutare la zia, ecc.). Le stesse ragioni poi che ci portano ogni tanto a fare esperimenti di vita sociale alternativa alla nostra, esperimenti a cui poniamo immediatamente termine tornando di corsa nella tana.

Quello che chiede un introverso è solo di essere lasciato in pace nei suoi silenzi, che non sono sempre necessariamente per timidezza, per imbarazzo, per rifiuto degli altri, spesso sta proprio bene così. Di non essere coinvolto suo malgrado in uscite o serate che non ha l'energia mentale per affrontare, basta avvisare per tempo che sono cambiati i piani e rimandare. Di non rinfacciargli che quando siamo da soli sei divertente, perché con gli altri ti ammutolisci?, se apprezzate di più il tempo con noi trascorso in pochi perché farlo diventare a tutti i costi del tempo trascorso in molti? Ma soprattutto non diteci sei timida, dovresti aprirti di più, prova a parlare anche con gli altri, come se noi lo vivessimo come un problema di cui stiamo cercando la soluzione, i motivi per cui non parliamo con gli altri possono essere infiniti (ad esempio gli altri potrebbero non averci rivolto la parola per primi come avete fatto voi).




Un'orsa