In alcuni momenti della mia vita sono stata oggettivamente vittima di bullismo, quando solo perché ero un bersaglio facile, l'elemento debole del gruppo, gli altri si sono accaniti su di me con aperta e inequivocabile cattiveria gratuita. L'aspetto divertente in questi casi è che quando reagivo, rendendo pan per focaccia, cadevano tutti dal pero, come si stupissero che io non fossi d'accordo nel ritenermi inferiore a loro, e che anzi magari pensassi addirittura di essere migliore.
In altri momenti il bullismo non c'è stato o non c'è stato propriamente, ma comunque mi sono sentita esclusa, derisa, sottovalutata, bistrattata. Alcune volte ho dovuto ammettere con me stessa, col senno di poi, di aver contribuito almeno in parte a rendermi vittima, poi non così vittima. Perché nessuno si permette di dire a quell'altra che è sovrappeso? Perché a Tizia non la prendono in giro per i capelli crespi e a Caia nessuno fa notare che è vestita male? Perché a me sì? Perché infondo me la cercavo. Ripensando al mio comportamento, a come mi relazionavo con gli altri, a come mi rivolgevo loro, alle parole che usavo, al tipo di battute che facevo, a cosa pensavo di loro, non posso che rispondermi che chi semina vento... E le altre, a differenza mia, non seminavano vento.
Allora ogni tanto, non sempre, quando vedevo qualcuno come me, che tutti trattavano come venivo trattata io, mi facevo muovere a compassione e provavo a comportarmi in modo più comprensivo degli altri. Mi riferisco precisamente a persone che vengono emarginate o messe in mezzo con cattiveria a causa (o anche a causa) di loro stesse, perché sono moleste senza rendersene conto o se ne rendono conto ma non riescono ad evitarlo. Non parlo invece delle situazioni di bullismo veramente gratuito, né dei casi in cui una persona tende ad isolarsi o ad essere isolata solo per timidezza o introversione (di cui parlo in quest'altro post).
In questi casi, dicevo, tendevo a pensare che se quando mi comportavo così male da inimicarmi tutti qualcuno mi avesse trattata diversamente, facendomi capire quanto e come sbagliavo, avrei potuto avere rapporti migliori con chi mi circondava, subire meno angherie ed essere più felice. Quello che mi aspettavo è che l'altro apprezzasse la differenza tra il mio atteggiamento e quello altrui e che ne traesse un'occasione di miglioramento, ma ho dovuto constatare che non avviene mai né l'una né l'altra cosa. Anzi, quando mi è capitato di dare spazio ad una persona che non era abituata ad averne, o che ne aveva ma non veniva mai presa sul serio, senza volere sono diventata gran parte del suo mondo e così tutta la sua insoddisfazione, il suo rancore e la sua rabbia avevano me come unico canale di sfogo, perché ero l'unica che stava lì a dargli attenzioni e ad ascoltarli. Incredibilmente questo anziché avere per loro una connotazione positiva in molti casi l'ha avuta negativa.
Anche se non passavo con quella persona la maggior parte del tempo, perché vedevo e sentivo anche altri amici, qualcosa nella qualità del tempo che passavamo insieme li convinceva che esistessi solo per loro e, sorprendentemente, anche questo ha avuto sempre risvolti negativi. Quando si è trattato di ragazzi (o di ragazze gay) si sono sempre convinti, per me ispiegabilmente, che da parte mia ci fosse un interesse romantico. Curiosamente anche gli altri tendono a convincersi che se dài spago ad un emarginato o strano è perché ti piace. Una volta lo trovavo bizzarro, poi ho capito che è come nel Piccolo principe: se dedichi parte del tuo tempo a qualcosa dài per forza l'impressione di tenerci, anche se le tue ragioni sono altre e riguardano più te che l'altro, come l'aiutare il te stesso del passato, o l'irrefrenabile impulso di psicanalizzare qualcuno per provare a risolvere i suoi problemi.
E' difficile far comprendere a chi non è come me che non riesco ad essere sempre respingente con queste persone perché mi dispiace per loro. Ed è difficile far capire a queste persone che, nonostante la comprensione, a volte esagerano al punto che ho bisogno di allontanarmi. La prendono sempre molto male e diventano vendicative. A volte sono diventata così il centro - o quasi - della vita di qualcuno che mi sono state attribuite caratteristiche quasi demiurgiche, come se avessi il potere di fare e disfare la vita altrui, di procurare o togliere a mio piacimento amicizie e amori. Il movente da parte mia sarebbe stata l'invidia, ma di cosa - avrei voluto chiedere - se ho più io di te?
Altre volte l'altro è stato più onesto e anziché attribuire a me le sue emozioni ha ammesso di avermi attaccata e provato a mettere in cattiva luce per invidia, perché tu sì e io no? perché tu hai questo e io no? perché tutti sono tuoi amici e se fai una cosa sbagliata ti perdonano e a me no? E avrei voluto chiedere se capisci la differenza tra me e te perché non provi a metterla in pratica anziché tentare di dimostrare che io sia come o peggio di te? Ma credo che chi si trova in quella posizione spesso sia troppo frustrato dal divario tra ciò che ha e ciò che vorrebbe per rendersi conto dell'aiuto che, esplicitamente o implicitamente, ha chiesto e gli si sta provando a dare.
E' come se nel momento in cui, trovato qualcuno che la accetta per come è, nel senso che di fronte ai comportamenti più assurdi non scappa come fanno gli altri, ma prova a chiarire, a spiegare, a consigliare, questo tipo di persona anziché essere grata pensi se mi accetti per come sono significa che sei più spazzatura di me, e quindi posso riversare su di te tutto il mio peggio, farti scontare tutto quello che loro fanno a me. Ogni volta che ho provato a trattare un emarginato o qualcuno che veniva trattato da scemo come una persona il risultato è stato diventarne a mia volta vittima. Posso darmi una spiegazione sul perché io mi faccia incastrare da queste situazioni, ma ancora non so spiegarmi come mai queste persone si comportino così per poi piangere di non avere nessuno, quando l'unica persona che cercava di esserci l'hanno poi allontanata proprio loro, e con rabbia.