bimbilla

mercoledì 27 marzo 2019

Relazioni irrecuperabili

In questo post vorrei parlare di un argomento che mi sta molto a cuore, che viene molto discusso e anche criticato, e sul quale torno di tanto in tanto: eliminare le persone negative dalla nostra vita. Per farlo partirò da una situazione particolare per arrivare alla fine a quella più generale. Ho sempre avuto remore a raccontare di eventi e persone specifiche, parlo sempre per grandi linee, per esempi riassuntivi e teorici, perché non mi va che la gente si senta chiamata in causa quando mi legge. In fondo, quando ho avuto problemi seri con qualcuno, glie l’ho sempre detto in maniera molto diretta. Ci sono però delle situazioni in cui ho scelto di lasciar perdere, perché mi pareva non ci fosse più niente da dirsi, che fosse inutile dare spiegazioni in quanto davanti avevo un muro. In qualche modo queste situazioni sono quelle che ogni tanto mi tornano alla mente e mi suscitano ancora riflessioni. In questo caso mi riferisco a una storia, iniziata circa dieci anni fa e durata quasi tre, che mi ha insegnato molto, anche se in maniera negativa, e mi ha fatto comprendere che avevo la tendenza ad infilarmi in situazioni dalle quali adesso, più o meno efficacemente, ho imparato a fuggire. La persona con cui avevo intessuto questa relazione, che era di tipo amoroso, era per me 'negativa' in quanto ‘complessata’ e ‘paranoica’. Virgoletto i termini perché ovviamente questa è la mia relativa percezione e non un assunto assoluto.

La storia con questo ragazzo era complicata da numerosi fattori, che è difficile riassumere in poche righe, quindi mi dilungherò un po’ per cercare di spiegare quanto questa relazione mi facesse vivere in uno stato di perenne angoscia e disagio. Sul perché sia rimasta in questa situazioni per quasi tre anni tornerò alla fine del post. Dovevo sempre essere io ad andare da lui e non viceversa, perché casa mia e il mio quartiere non erano alla sua altezza, nemmeno vivessi in una favelas. La mia educazione e la mia famiglia lo mettevano in imbarazzo, neanche fossi figlia di contrabbandieri di organi nel Terzo Mondo e lui un rampollo reale. A suo dire le mie possibilità economiche erano poco al di sopra della soglia minima di povertà. Ovviamente ogni tentativo di difendermi da questo genere di accuse, mostrandogli che le cose non erano proprio come diceva lui, veniva bollato come snobberia e presunzione. Il mio modo di vestire era sempre inadeguato alla situazione o al mio aspetto fisico: l’unica mise concessa senza incappare in critiche era composta da maglietta o maglioncino, jeans, sneaker, niente trucco o smalto. Qualsiasi variazione era inopportuna rispetto al luogo frequentato, o comunque non ero abbastanza bella, e dovevo sempre ricordarmi di non esserlo, per potermi permettere qualsiasi altro look. I miei amici non erano degni di essere frequentati da lui: ne ha intravisto uno per sbaglio e ha sempre rifiutato di incontrarne qualcuno, ma questo era anche funzionale ad asserire che tanto ero una persona sola.

Per quanto riguarda i suoi amici la questione era ambivalente: quelli che mi era concesso frequentare non dovevo permettermi di considerarli anche miei amici, di cercarli e di chiedere loro qualsiasi cosa; di contro dovevo fargli chiaramente intendere di trovarli simpatici e di volergli bene, mostrarmi sempre ben disposta, accoglierli da brava ospite, preparare loro pranzi e cene, anche e soprattutto perché lui potesse sdebitarsi delle volte in cui era stato ospite a casa loro e le loro madri gli avevano preparato da mangiare. Non era assolutamente contemplato che potessi chiedergli di accompagnarmi da qualche parte o fare qualcosa insieme: se una donna chiede ad un uomo qualcosa del genere non è per il piacere di stare assieme o perché sia ‘normale’ fare delle cose in coppia, ma perché non è in grado di farlo da sola e quindi non si merita la di lui compagnia. Avevamo più di un interesse in comune, in particolare lui era appassionato di mitologia e io studiavo storia delle religioni, ma non era assolutamente concepibile che ne sapessi qualcosa e che potessi trasmettergliela o condividerla. In generale mi era interdetta la possibilità di vantare qualsiasi tipo di intelligenza e conoscenza, pratica o intellettuale che fosse, la mia era ridicola e vana presunzione di credermi "chissà chi". Era fuori discussione che fossi in grado di compiere una qualsiasi attività manuale, che fosse disegnare e dipingere o suonare, non c’era nemmeno bisogno di verificare, era semplicemente impossibile che lo sapessi fare.

Se mi faceva piangere con uno di questi comportamenti le mie non erano ‘vere’ lacrime, perché le lacrime delle donne sono preziose mentre io piangevo per queste sciocchezze, quindi lo stavo solo ricattando moralmente. In fondo io ero ‘sbagliata’ e lui voleva solo ‘insegnarmi a vivere’. E poi io ero ‘cattiva’. Ogni tipo di affermazione da me pronunciata, neutra o addirittura positiva, come un complimento, era facilmente catalogabile come detta con malizia e per offendere. Non c’era una prima azione o una prima cattiveria detta che potessero dimostrarlo, già in origine era stato tutto interpretato in questo senso, poiché ero una donna, come la Madre, e come la Madre ero profondamente malvagia. Sì perché la Madre era un animale mitologico con una duplice funzione, che nel ruolo di Madre-Eva, veniva evocata per giustificare la credenza che le donne fossero intrinsecamente malvagie e create per perseguitare l’Uomo, e che qualsiasi cosa facessi o dicessi aveva un movente o un fine negativo; nella funzione di Madre-Maria, veniva invocata per illustrarmi come una ‘vera’ donna avrebbe tenuto la casa o preparato la cena per i suoi ospiti. “Voi donne non sapete fare niente”, “voi donne credete di sapere tutto, invece non sapete nulla”, “voi donne siete stupide perché vi date sempre importanza”, “una vera donna dovrebbe...”, “voi donne mi state sul cazzo perché...”.

Anche quando parlava di amiche e colleghe cui apparentemente era affezionato, erano per lui incapaci, stupide, non all’altezza di qualsiasi situazione, che in sostanza non erano ‘vere’ donne. Mi raccontava divertito di come insieme ad altri colleghi uomini bullizzava anche fisicamente le colleghe, di come si divertisse a dare importanza a ragazze che riteneva ‘brutte’ per ridere del loro imbarazzo, in alcune occasioni ho anche potuto assistere al suo insensato accanimento persecutorio contro donne che non gli avevano fatto nulla per il solo gusto di metterle alla gogna. Viceversa quelle che erano considerate ‘vere’ donne venivano elogiate per le loro doti culinarie e domestiche, perché non pretendono mai di trascorrere il tempo libero col compagno, andavano in vacanza senza di lui e ovviamente, mentre facevano le casalinghe e vivevano da single, portavano anche il pane a casa. Non c’erano mai commenti positivi sulla loro intelligenza o simpatia, le loro abilità erano sempre legate alla cura della casa e del loro uomo, ed erano delle buone amiche solo perché quando lo invitano a casa gli preparavano i suoi piatti preferiti.

Per quasi tre anni ho pensato di essere io il problema, mi sono sforzata di fargli capire che ero meglio di come mi vedeva lui, perché chiunque sarebbe meglio di così, anche un pluriomicida. Di fargli comprendere che i suoi argomenti erano spesso infondati e pretestuosi, che saremmo potuti stare bene insieme se lui avesse accettato il fatto che non ero un rettiliano inviato nella sua vita dalla Madre per perseguitarlo, perché era anche paranoico. Paranoico ed estremamente insicuro, di quei tipi che si cancellano da Facebook alla prima battuta sotto una foto, che pure se vorrebbero imparare a suonare uno strumento non lo fanno, per evitare quella fase iniziale in cui non si è ancora in grado di fare una cosa e quindi si è più passibili di critica, che usciva il meno possibile di casa per evitare di esporsi al giudizio dei Nessuno che si incontrano ogni giorno. Viveva così nel terrore del giudizio altrui che non poteva concepire come io, essere ontologicamente inferiore, su cui lui proiettava ogni suo difetto fisico, caratteriale, di formazione e educazione, potessi vivere lo stesso la mia vita, portando a spasso la mia angusta persona senza remore, anziché seppellirmi viva assieme a lui.

A un certo punto mi sono risvegliata dal torpore e ho capito: non sarei mai andata bene per lui. Era ormai chiaro che non potevo essere il tipo di donna che gli andasse bene, perché detesto fare le pulizie, cucino più perché mi piace mangiare bene che per passione, e comunque lo faccio per dovere: potessi permettermelo avrei domestici e cuochi personali, non c’è dubbio. Amo parlare quanto ascoltare, scambiare opinioni e condividere attività, e sì, se sto bene con una persona mi piace passarci i week end, anche fuori casa, e andarci in vacanza. Se qualcosa non mi sta bene in una relazione importante non posso tenerla per me, e a volte sbaglio i toni e le parole perché sono facile alla rabbia, quella che fa pulsare la vena e perdere la misura nelle parole e nel modo di esprimersi, per cui può capitare che dica cose che ‘suonano cattive’, ma molto spesso non lo sono nel significato. In effetti col tempo ho capito anche che quasi nessuna donna sarebbe andata bene per lui, perché a volte il risentimento nei confronti dell’altro sesso è troppo per trovare un vero accomodamento, ma questa è un’altra storia e non è più affar mio.

Oltre all’evidente rigetto per le donne c’era un altro insormontabile dettaglio: gli volevo bene e mi piaceva, e quando una persona è così auto-svalutante e paranoica da evitare di avere una vita per non essere giudicata, se incontra qualcuno che lo apprezza decide automaticamente che quel qualcuno debba essere peggiore di lui, e quindi finisce per considerarlo spazzatura. Quest'ultimo punto, che è più generale e influisce in tutti i tipi di relazioni, amorose e non, a prescindere da sesso e genere, è quello che mi ha ispirato una riflessione più ampia. A volte in alcune relazioni riconosco lo stesso atteggiamento svalutante nei confronti dell’altro, spesso frutto dell’auto-svalutazione, in cui una demonizzazione dell'altro sesso può avere o meno un ruolo. Per quanto riguarda me, alcune persone che mi mostravano interesse, anche solo in amicizia, avevano chiaramente quest’indole.

La ripetizione di questo pattern mi ha fatto capire che anche io avevo un problema, qualcosa in me ha attirato questo tipo di persone, a prescindere dal tipo di rapporto che cercavano. Fortunatamente sono quasi sempre scappata in tempo, prima di cascarci dentro. Non pretendo di essere una ‘buona’, probabilmente non lo sono, non pretendo di essere una ‘bella persona’, è raro incontrarne una, ma nessuno dovrebbe subire certe situazioni e tutti meritiamo una relazione paritetica in cui il rapporto tra dare e ricevere sia pressoché equivalente, in cui l’‘ammirazione’, la stima e la voglia di stare insieme siano reciproche. La cosa più importante da comprendere è che tutti meritiamo di essere amati, anche se abbiamo dei difetti fisici o caratteriali, anche se pensiamo di non essere persone abbastanza in gamba o realizzate, se pensiamo che la nostra vita dovrebbe essere ‘migliore’ e che ancora dobbiamo lavorare per realizzarla.

L'errore che in molti commettiamo è di pensare che chi ci ama anche così, anche se noi non ci piacciamo, sia una persona da niente. Una persona da niente è chi vuole farci rimanere nello stato di frustrazione e disagio in cui viviamo, contraria a qualsiasi nostra forma di miglioramento o accrescimento, e che anzi si impegna nello sminuirci e toglierci qualsiasi voglia e motivazione, per avere la sicurezza che staremo con l*i o saremo amici per sempre, in un rigoroso rapporto di inferiorità, che non l* faccia mai sentire mess* in discussione. Chi ci ama davvero sarà felice di vederci crescere e raggiungere i nostri obiettivi, di assistere a quello che per noi è un miglioramento, e continuerà ad amarci durante il percorso e una volta raggiunto l’obiettivo. Pensare che chi ci ama o ci sia amic* per come siamo non ci aiuti a crescere, solo perché non ci fa sentire ogni giorno ‘scomodi’ nei nostri panni, è un pensiero malato, perché spesso la crescita è frutto proprio della serenità e dell’accettazione. Se a qualcuno non andiamo bene come siamo è altamente probabile che quella persona, anche avesse 'ragione', non vada bene per noi. Molte persone si sentono in difetto, e se alcuni cercano approvazione altri se la prendono, se alcuni vivono il loro senso di ‘inferiorità’ rifiutando l’amore di chi li apprezza, e cercando a tutti i costi l’approvazione di chi li rigetta, altri accettano l’amore ma considerando chi lo prova nei loro confronti ancora più ‘inferiore’, perché come si fa ad amare qualcuno che vale poco o niente? Solo valendo ancora meno.

Tanti non riescono mai a uscire da questo circolo vizioso, continuando ad assumere di volta in volta il ruolo della ‘vittima’ o del ‘Cerbero’ in tutte le relazioni, in quanto anche la stessa persona a seconda della situazione può divenire l'una o l'altra cosa. A quanto pare la cosa più difficile non è tanto amare, quanto accettare di essere amati per come si è. Si dovrebbe scappare da quel tipo di Calimero che non potrà mai amare chi lo ama, ma che anzi disprezza proprio chi lo ama, chi gli è amico, chi gli offre l'aiuto che ha chiesto. Spesso si sente parlare di eliminare le persone 'tossiche' dalla propria vita, e alcuni si indignano all'idea che si consigli come mantra che depressi, ansiosi o problematici a vario titolo debbano essere lasciati soli. Ma ci sono depressi e depressi, ansiosi e ansiosi, problematici e problematici, e se la persona o le persone così che avete nelle vostre vite vi tolgono ogni energia e gioia di vivere, è molto probabile che siano 'tossiche', e per quanto possiate volergli bene ricordatevi che non siete psicoterapeuti o assistenti sociali, lasciate ad altri il compito di 'guarirli' quando non è nelle vostre umane capacità e soprattutto quando non vogliono il vostro aiuto, ma solo usarvi come discarica emotiva, accusandovi magari di rovinargli la vita.