bimbilla

martedì 19 dicembre 2017

Non tutto è bullismo

In alcuni momenti della mia vita sono stata oggettivamente vittima di bullismo, quando solo perché ero un bersaglio facile, l'elemento debole del gruppo, gli altri si sono accaniti su di me con aperta e inequivocabile cattiveria gratuita. L'aspetto divertente in questi casi è che quando reagivo, rendendo pan per focaccia, cadevano tutti dal pero, come si stupissero che io non fossi d'accordo nel ritenermi inferiore a loro, e che anzi magari pensassi addirittura di essere migliore.

In altri momenti il bullismo non c'è stato o non c'è stato propriamente, ma comunque mi sono sentita esclusa, derisa, sottovalutata, bistrattata. Alcune volte ho dovuto ammettere con me stessa, col senno di poi, di aver contribuito almeno in parte a rendermi vittima, poi non così vittima. Perché nessuno si permette di dire a quell'altra che è sovrappeso? Perché a Tizia non la prendono in giro per i capelli crespi e a Caia nessuno fa notare che è vestita male? Perché a me sì? Perché infondo me la cercavo. Ripensando al mio comportamento, a come mi relazionavo con gli altri, a come mi rivolgevo loro, alle parole che usavo, al tipo di battute che facevo, a cosa pensavo di loro, non posso che rispondermi che chi semina vento... E le altre, a differenza mia, non seminavano vento.

Allora ogni tanto, non sempre, quando vedevo qualcuno come me, che tutti trattavano come venivo trattata io, mi facevo muovere a compassione e provavo a comportarmi in modo più comprensivo degli altri. Mi riferisco precisamente a persone che vengono emarginate o messe in mezzo con cattiveria a causa (o anche a causa) di loro stesse, perché sono moleste senza rendersene conto o se ne rendono conto ma non riescono ad evitarlo. Non parlo invece delle situazioni di bullismo veramente gratuito, né dei casi in cui una persona tende ad isolarsi o ad essere isolata solo per timidezza o introversione (di cui parlo in quest'altro post).

In questi casi, dicevo, tendevo a pensare che se quando mi comportavo così male da inimicarmi tutti qualcuno mi avesse trattata diversamente, facendomi capire quanto e come sbagliavo, avrei potuto avere rapporti migliori con chi mi circondava, subire meno angherie ed essere più felice. Quello che mi aspettavo è che l'altro apprezzasse la differenza tra il mio atteggiamento e quello altrui e che ne traesse un'occasione di miglioramento, ma ho dovuto constatare che non avviene mai né l'una né l'altra cosa. Anzi, quando mi è capitato di dare spazio ad una persona che non era abituata ad averne, o che ne aveva ma non veniva mai presa sul serio, senza volere sono diventata gran parte del suo mondo e così tutta la sua insoddisfazione, il suo rancore e la sua rabbia avevano me come unico canale di sfogo, perché ero l'unica che stava lì a dargli attenzioni e ad ascoltarli. Incredibilmente questo anziché avere per loro una connotazione positiva in molti casi l'ha avuta negativa.

Anche se non passavo con quella persona la maggior parte del tempo, perché vedevo e sentivo anche altri amici, qualcosa nella qualità del tempo che passavamo insieme li convinceva che esistessi solo per loro e, sorprendentemente, anche questo ha avuto sempre risvolti negativi. Quando si è trattato di ragazzi (o di ragazze gay) si sono sempre convinti, per me ispiegabilmente, che da parte mia ci fosse un interesse romantico. Curiosamente anche gli altri tendono a convincersi che se dài spago ad un emarginato o strano è perché ti piace. Una volta lo trovavo bizzarro, poi ho capito che è come nel Piccolo principe: se dedichi parte del tuo tempo a qualcosa dài per forza l'impressione di tenerci, anche se le tue ragioni sono altre e riguardano più te che l'altro, come l'aiutare il te stesso del passato, o l'irrefrenabile impulso di psicanalizzare qualcuno per provare a risolvere i suoi problemi.

E' difficile far comprendere a chi non è come me che non riesco ad essere sempre respingente con queste persone perché mi dispiace per loro. Ed è difficile far capire a queste persone che, nonostante la comprensione, a volte esagerano al punto che ho bisogno di allontanarmi. La prendono sempre molto male e diventano vendicative. A volte sono diventata così il centro - o quasi - della vita di qualcuno che mi sono state attribuite caratteristiche quasi demiurgiche, come se avessi il potere di fare e disfare la vita altrui, di procurare o togliere a mio piacimento amicizie e amori. Il movente da parte mia sarebbe stata l'invidia, ma di cosa - avrei voluto chiedere - se ho più io di te?

Altre volte l'altro è stato più onesto e anziché attribuire a me le sue emozioni ha ammesso di avermi attaccata e provato a mettere in cattiva luce per invidia, perché tu sì e io no? perché tu hai questo e io no? perché tutti sono tuoi amici e se fai una cosa sbagliata ti perdonano e a me no? E avrei voluto chiedere se capisci la differenza tra me e te perché non provi a metterla in pratica anziché tentare di dimostrare che io sia come o peggio di te? Ma credo che chi si trova in quella posizione spesso sia troppo frustrato dal divario tra ciò che ha e ciò che vorrebbe per rendersi conto dell'aiuto che, esplicitamente o implicitamente, ha chiesto e gli si sta provando a dare.

E' come se nel momento in cui, trovato qualcuno che la accetta per come è, nel senso che di fronte ai comportamenti più assurdi non scappa come fanno gli altri, ma prova a chiarire, a spiegare, a consigliare, questo tipo di persona anziché essere grata pensi se mi accetti per come sono significa che sei più spazzatura di me, e quindi posso riversare su di te tutto il mio peggio, farti scontare tutto quello che loro fanno a me. Ogni volta che ho provato a trattare un emarginato o qualcuno che veniva trattato da scemo come una persona il risultato è stato diventarne a mia volta vittima. Posso darmi una spiegazione sul perché io mi faccia incastrare da queste situazioni, ma ancora non so spiegarmi come mai queste persone si comportino così per poi piangere di non avere nessuno, quando l'unica persona che cercava di esserci l'hanno poi allontanata proprio loro, e con rabbia.

giovedì 7 dicembre 2017

Timidi e introversi

Di recente ho letto un libro scritto da una persona che ho conosciuto vari anni fa in rete, autrice anche del My Way Blog, che secondo me vale davvero la pena di seguire. Il libro si intitola “La rana bollita” e racconta del suo (secondo) incontro con l’ansia e di come ha deciso di affrontarla. Mi ha fatto molto piacere leggerlo, lo trovo interessante per chi affronta lo stesso tipo di problemi ed offre molti spunti di riflessione. Penso sia molto utile anche per chi, non soffrendo d’ansia, abbia vicino una persona che ne soffre e che magari non riesce a esprimere cosa prova o come vorrebbe essere sostenuta.



***


Questa mattina mi è tornato in mente un punto del libro in cui Marina parlava di timidezza ed introversione e, seguendo il mio solito filo di pensieri a casaccio, è nato questo post.

Introvèrso agg. [part. pass. di introvertere]. – Ripiegato, rivolto in dentro, introflesso. Più com., di persona che ha forte tendenza all'introversione, a chiudersi nel mondo dei sentimenti e della fantasia.*

Tìmido agg. [dal lat. timĭdus, der. di timere «temere»]. – Facile a impaurirsi, che ha e dimostra scarso coraggio; più spesso, incerto, impacciato, esitante nel comportamento per timore di non riuscire, di essere giudicato male dagli altri, di apparire indiscreto.*



Mi è tornato in mente perché mi piace sempre riflettere sui tipi umani, e perché varie volte nella mia vita sono stata chiamata timida per le ragioni più disparate. A volte perché mi esce la voce più sottile del solito (a me sembra solo raucedine, ma tant’è), altre perché passo intere ore in silenzio anche in mezzo agli altri o giorni e giorni senza vedere gente.

Preferisco di gran lunga le situazioni con pochi intimi alle tavolate di 20-30 persone dove tutti parlano con tutti e nessuno parla con nessuno. Da quando sto con F. ho scoperto che ci sono persone che, per non lasciare indietro nessuno, dopo cena si dedicano ai giochi di società. Quindi dopo essere sopravvissuta non si sa come alle elementari, a 30 anni mi ritrovo catapultata nell'incubo di dover mimare il titolo di un film davanti a 20 persone che praticamente non conosco. Piuttosto passo il resto della serata appollaiata su una sedia a guardare gli altri.

Provo un fastidio viscerale per le situazioni in cui la persona con cui ho appuntamento si presenta senza sufficiente preavviso con un terzo elemento con cui ho scarsa o nessuna confidenza. Dentro di me penso adesso non potrò parlare di quello che volevo e invece avevo un sacco di cose che non vedevo l’ora di raccontarti. Non finisce per forza male, magari con il terzo in comodo mi trovo anche bene, ma è conversazione tanto per, non ciò di cui volevo parlare.

Alcune amiche, quando eravamo giovani e single, attaccavano bottone coi ragazzi degli altri tavoli o col gestore del locale, felicissime di scroccare un drink e dei complimenti. A me salivano le lacrime agli occhi, che serata è se invece di stare con le mie amiche devo parlare e bere con un estraneo? Potevi dirmelo che volevi rimorchiare, se sapevo me ne restavo a casa.

Dei tradimenti. Quella volta che metto la testa fuori dalla tana vorrei che fosse per qualcosa e qualcuno che valgano la pena, non tanto per. O, per dirla più ad affetto, Odio coloro che mi tolgono la solitudine senza farmi compagnia.

Potrebbe sembrare una cosa da niente ma anche il telefono è uno strumento a tratti angosciante. Partendo dal presupposto che preferisco quasi sempre la chat, spesso mi capita di ricevere una telefonata da qualcuno che conosco e fissare lo schermo del telefonino chiedendomi solo perché? cosa devi dirmi mai di così urgente per cui la chat non poteva andare bene lo stesso? se vuoi solo fare quattro chiacchiere perché devo fermarmi dal fare qualsiasi altra cosa nel mentre? non potevi scrivermi? mandare un vocale? Non mi capita con tutti, sia chiaro, anche se ora probabilmente non riceverò mai più una telefonata :P

Per carità, non sono così taciturna, anzi posso essere pure prolissa se ho cose da dire (dai post non sembrerebbe eh?) e se sono a mio agio riesco persino a parlare con più persone contemporaneamente. Se incontro un amico per caso ed è con un’altra persona che conosco poco o nulla non inizio a fare fumo; se esco con un’amica e so che si porterà dietro una terza persona magari fino all'ultimo medito di dare buca, ma poi esco; idem se devo partecipare a tavolate varie, mi basta potermene stare nel mio angoletto in silenzio senza che qualcuno cerchi di coinvolgermi in maniera forzata. Giuro che mi diverto anche solo ad ascoltare, tranquilli, solo non sento la necessità di intervenire attivamente.




Far capire questo concetto è una roba difficilissima. Stare in silenzio è come dire vorrei tanto parlare con tutti voi ma sono troppo timida per farlo, vi prego coinvolgetemi o, peggio, mi state tutti antipatici. Ci sono persone che vedono la timidezza e l’introversione quasi come una malattia e si sforzano di curarla, con risultati spesso disastrosi.

I giochi di società sono un esempio, un commensale silenzioso è un conto, magari due parole col vicino di posto le spiccichiamo od ogni tanto se abbiamo qualcosa da dire interveniamo, ma durante il gioco dei mimi? Chi non partecipa ha un faretto puntato addosso, il campanaccio dei lebbrosi, è praticamente un anti-sociale, ci sono già quelli di Criminal Minds fuori della porta che aspettano di sapere se tortura gli uccellini e fa la pipì a letto.


Prenderci in giro davanti a tutti, spostando su di noi di botto tutta l’attenzione generale, non è un gran metodo. Sì a volte può funzionare, ma se la battuta per noi è imbarazzante o non ci fa ridere? Ci mandate nel panico: mi ha messo a disagio o non mi ha fatto ridere, se rido gli dò confidenza e rischio che mi faccia un'altra battuta del genere, ma se non rido sembro permalosa, non voglio che ricapiti ma nemmeno che mi trovino antipatica. Andiamo in cortocircuito prima di riuscire a venirne a capo.

Se, in un gruppo, abbiamo una conversazione a tu per tu (o per tre, o al limite per quattro) e iniziate a dirci ma perché con gli altri non parli così? ma che ti vergogni? ti fai troppi problemi e sembri antipatica, invece sei simpatica! non ci aiutate molto. Intanto grazie del complimento ma ci state anche dicendo che sembriamo antipatici e questo ci farà tornare di corsa nella grotta. Poi è veramente inutile che vi sforziate di coinvolgerci con tutti gli altri, quelle cose tipo parlarsi sopra a vicenda o intervenire in conversazioni in cui non abbiamo nulla da dire o da aggiungere non fa per noi, ma non deve per forza significare che la conversazione non ci interessi e che gli altri ci stiano antipatici (vedete? stiamo sorridendo!). Se avessimo parlato a tu per tu (o eccetera) con uno di loro anziché con voi sarebbe andata più o meno allo stesso modo.



In alcuni casi si tratta di mera incompatibilità. Se c'è una persona che, per una qualsiasi ragione, è troppo fuori contesto rispetto al gruppo non è colpa di nessuno se non si integra, non è necessariamente antipatia, e anzi cercare di forzarla può fare solo peggio.

L'idea che mi sono fatta è che i più accaniti siano proprio gli altri introversi. A un estroverso, generalmente, non importa molto se l'altro è introverso, anzi alcuni la trovano persino una cosa positiva. In gruppo, poi, c'è una sorta di complementarità, gli estroversi parlano e gli introversi ascoltano. Mi sembra che sia più che altro una parte degli introversi a convincersi di avere la missione di salvare i restanti.

Lo penso perché a volte mi rendo conto di trovarmi dall'altra parte, a cercare di coinvolgere un altro introverso in una situazione dove io per una volta non lo sono, o a pensare ma guarda questo che antipatico che non dice una parola, eppure siamo persone divertenti. Una volta ho sentito una persona estremamente taciturna ed introversa lamentarsi stizzita di un'altra perché non parlava mai, e a cascata mi vengono in mente decine di esempi analoghi, nessuna pietà per i simili.

Lo penso anche perché è proprio nei contesti dove mi aspetterei di trovare il maggior numero di introversi che le persone si accollano di più se non parli. Per anni ho bazzicato giochi e videogiochi on line, frequentato forum e chat a tema pagano, e proprio in questi ambienti se sei timido o introverso patisci di più. Te la devi far passare, perché se non socializzi, se non ti integri nel gruppo, vieni emarginato. Non sempre, soprattutto se ti conoscono anche al di fuori, ma mediamente è così.

Non puoi semplicemente giocare o intervenire sul forum solo quando hai qualcosa da dire: se giochi devi essere nella chat vocale comune per tutto il tempo e parlare, se sei iscritto al forum devi scrivere almeno un post a settimana sull'argomento che ti viene assegnato dagli amministratori. Regole e compitini. Mi sono capitate di recente le mie pagelle delle elementari tra le mani, c'era il commento su quanto il bambino fosse socievole e integrato rispetto alla classe (indovinate la mia, hehe, anche se fino alla seconda ero normale, pare). Più o meno una cosa del genere.

Mi sono sempre chiesta ma perché? se siamo qui a scrivere di Wicca e di celti, se siamo qui a giocare ad un videogioco, anziché essere fuori ad interagire con gente in carne ed ossa, che bisogno c'è di tutto questo contatto umano? non dovremmo essere tutti sulla stessa barca? siete veramente qui per la Wicca e i videogame, o è per trovare quel gruppo e quella socialità che non potete avere (quale che sia la ragione) ma che vorreste nella vita di tutti i giorni?

Forse mi sono nutrita troppo a lungo di cultura romantica e l'introversione mi pare una cosa persino positiva, per quanto a volte pecco anche io di voler stanare l'altro dal suo guscio, e persino di provare fastidio nei confronti dell'introversione o della timidezza altrui. Nella società capitalista, e nella psicologia cognitivo-comportamentale che ne plasma i perfetti soldatini, non c'è spazio per la timidezza, considerata una debolezza, e per l'introversione, un difetto dello spirito, a meno che tu non sia un artista, un informatico e poche altre cose. Nascondiamo le copie de "I dolori del giovane Werther" e de "Il giovane Holden", sia mai che quelli di Criminal Minds siano ancora in giro a caccia di sociopatici.


Credo, in fin dei conti, di essere anche timida, ma principalmente introversa. Di non essere molto diversa da altri introversi quando provo fastidio per i miei simili, penso sia solo fastidio verso il riflesso di noi stessi, per il conflitto che si crea in alcuni tra la nostra indole e questa società, o per la banale eco dei rimproveri dei nostri genitori quando eravamo adolescenti (stai sempre in camera tua al buio, esci che oggi è una bella giornata, vieni a salutare la zia, ecc.). Le stesse ragioni poi che ci portano ogni tanto a fare esperimenti di vita sociale alternativa alla nostra, esperimenti a cui poniamo immediatamente termine tornando di corsa nella tana.

Quello che chiede un introverso è solo di essere lasciato in pace nei suoi silenzi, che non sono sempre necessariamente per timidezza, per imbarazzo, per rifiuto degli altri, spesso sta proprio bene così. Di non essere coinvolto suo malgrado in uscite o serate che non ha l'energia mentale per affrontare, basta avvisare per tempo che sono cambiati i piani e rimandare. Di non rinfacciargli che quando siamo da soli sei divertente, perché con gli altri ti ammutolisci?, se apprezzate di più il tempo con noi trascorso in pochi perché farlo diventare a tutti i costi del tempo trascorso in molti? Ma soprattutto non diteci sei timida, dovresti aprirti di più, prova a parlare anche con gli altri, come se noi lo vivessimo come un problema di cui stiamo cercando la soluzione, i motivi per cui non parliamo con gli altri possono essere infiniti (ad esempio gli altri potrebbero non averci rivolto la parola per primi come avete fatto voi).




Un'orsa




venerdì 20 ottobre 2017

Post a-sessuato e a-gender

Per non fare un torto a nessuno non dovrebbe piacere né a femminist* né ad anti-femminist*, ma suppongo che ogni parte ci potrebbe vedere riflesso il pensiero dell'altra fazione.




Perché le donne non denunciano subito gli abusi? In questi giorni è una domanda che si sente spesso. A me e a delle mie amiche è capitato di subire degli abusi da ragazzine e non li abbiamo denunciati. Perché? Perché quando accadono non necessariamente comprendi subito che siano abusi, l’inesperienza dell’età e il coinvolgimento personale con chi li perpetra ti fanno pensare che sia qualcos'altro. Perché sei la prima a pensare di essertela cercata, era il tuo ragazzo o comunque qualcuno che frequentavi e che avevi cercato anche tu, e in generale avevi un comportamento considerato a rischio. Perché nessuno ti crede, per la mamma stai solo cercando attenzione o comunque è anche colpa tua quindi denunciare non ha senso, per le amiche vuoi fare la figa, per altri lui non farebbe mai una cosa del genere. Perché non sempre i carnefici sono come quelli dei film, il classico maniaco da cui ti mettono in guardia, sono anche persone normali che magari ti piacciono pure.

A volte ci vogliono anni per realizzare cosa ti è veramente successo, forse questo non è il caso di Asia Argento ma ci sono anche l’insicurezza e altri fattori. Mai andate a letto con qualcuno perché vi sentivate in dovere? Per non dispiacerlo, perché avete cambiato idea in corsa ma ormai siete lì, per evitare di passare da figa di legno, per non mettervi contro uno che nel gruppo sta simpatico a tutti e vi potrebbe emarginare. Dopo vi sentite uno schifo ma si potrebbe obiettivamente dire che non eravate consenzienti? Che sia stata una violenza? Io questa certezza non ce l'ho, almeno per quanto mi riguarda, e non denuncerei mai un uomo perché mi sono pentita e provo vergogna.

Immagino che sul posto di lavoro sia anche peggio, agli inizi quando una non conta niente e l’altro è una persona potente la donna deve decidere tra lavoro e giustizia, certo la seconda è la scelta ovvia sulla carta, ma nella pratica? Potrebbe essere la prima a denunciare e temere che le altre pensino ma che vuole questa, non potrebbe ingoiare il rospo come abbiamo fatto noi e tenersi il lavoro? e gli uomini potrebbero non volerci più avere niente a che fare per evitare di trovarsi una rompipalle tra i piedi.

Perché ammettiamolo, tutti quelli che denunciano sono considerati dei rompipalle, chi denuncia molestie o abusi sessuali, chi mobing o bullismo, chi svolge una mansione da mesi ma ancora non ha avuto la promozione e l’adeguamento di stipendio. Non potrebbero semplicemente fare come tutti gli altri, accettare che la vita è ingiusta e subire senza dare tanto fastidio alla collettività? E fuori dal lavoro, non potrebbero imparare a divertirsi invece di farla tanto lunga?

C’è una psicosi collettiva contro gli uomini. Sono sporchi, puzzolenti, pelosi, violenti, stupratori, picchiano le donne e i bambini, fanno le guerre, vanno a caccia, mangiano la carne, bevono alcol e fanno altre cose disdicevoli. Gli uomini, tutti. Poi ci sono le eccezioni ma gli uomini sono così. Essere uomini è già di per sé una colpa, sono bestie e non hanno il controllo su loro stessi. Ci sono uomini che si scusano per cose che non hanno mai fatto in quanto rappresentanti del genere maschile. Qualcuna si è mai sentita di doversi scusare a nome del genere femminile per qualcosa che non ha mai fatto?

No, perché se le donne si comportano male o sono cattive è perché sono succubi del patriarcato. Il male, le cose brutte, vengono tutte dagli uomini, non ci appartengono, anche i difetti tipicamente femminili come l’invidia, la gelosia, la cattiveria nel parlare e nel picchiare, la ripicca, non sono colpa nostra, ce le hanno instillate o provocate gli uomini.

Non so gli altri ma io le botte da piccola le ho prese quasi solo da mia madre, e se mio padre mi dava per lo più due sculaccioni (in faccia me le ha date una volta) mia madre mi picchiava anche in faccia, mi mordeva o graffiava le braccia e mi tirava i capelli. Per non parlare delle cattiverie verbali. E non è l'unica madre che ho visto comportarsi così, almeno lei non usava gli zoccoli di legno, in casa dei miei amici volavano. Dovrei scusarmi a nome del genere femminile per loro? No, non lo pretenderebbe nessuno, e poi tanto non è colpa delle donne ma dell'educazione patriarcale, noi per natura non siamo violente...

Aumentano le denunce per molestie e abusi sessuali e questo è giusto, ma aumentano anche quelle false e la psicosi verso gli uomini. Vai a letto con uno ma poi te ne penti? Il capo ti fa un complimento? I colleghi parlano di quanto sono bone Belen e la ragazza dell'ufficio accanto? Ce l’hai con un uomo per una ragione qualsiasi? Conosci uno ricco e vuoi guadagnarci qualcosa? Pensi di meritare una promozione che non hai ancora ottenuto? Puoi denunciarli tutti per molestie sessuali o stupro, rovinargli la vita o fargli perdere il posto di lavoro. Potrebbe capitare a mio padre, al mio compagno, a chiunque, basta la denuncia, non serve nemmeno la condanna, come si sta vedendo in questi giorni. E se non ci fossero denunce false o per cose improbabili sarebbe ancora così difficile ottenere una condanna? Probabilmente lo sarebbe meno.

Qualche anno fa lessi un articolo in cui si intervistavano delle informatiche che si lamentavano di quanto fosse invivibile l’ambiente di lavoro. Non venivano apprezzate? Venivano pagate poco rispetto agli uomini? No no, è che i colleghi parlavano spesso di figa. Però se le donne sbavano sugli addominali dei modelli CK e parlano tutto il tempo di ragazzi e di dimensioni e un collega dice qualcosa è un maschilista contrario alla libertà sessuale delle donne. Se le donne dicono che gli uomini sono tutti porci e stronzi l'uomo deve stare zitto. Se gli uomini dicono che le donne sono tutte troie devono essere linciati (e licenziati).

Non vogliamo l'uguaglianza o le pari opportunità, vogliamo rivalsa, vendetta. Abbiamo subìto per secoli e ora vorremmo non solo l'indennizzo ma anche la sottomissione del genere maschile. Vorremmo fare noi a loro quello che loro hanno fatto a noi.

Quante vedendo una donna che picchia un uomo non pensano gli sta bene? Quante provano pietà davanti ad un uomo adulto che subisce uno stupro? Da un altro uomo, sia chiaro, perché chi ci crede veramente che una donna possa stuprare un uomo? E poi le molestie, quali molestie, ai maschi piace, stanno sempre a parlare di figa (che ricorda un po' quella storia della minigonna, ma lasciamo stare).

Quale pensate che sia l’atteggiamento medio di un uomo per bene di fronte ad una donna che ha denunciato qualcosa? Le dareste un lavoro, ci sareste amici se il rischio fosse prendere una denuncia perché ci avete provato quando era brilla o venire licenziati perché avete la penna con la donnina che si spoglia? Di contro, denuncereste mai il capo o il collega che ha abusato di voi se il rischio fosse essere trattata da appestata da tutti gli altri? Col rischio che nessuno voglia più darvi un lavoro?

Vent'anni dopo Asia Argento e tutte quelle che come lei sono uscite allo scoperto sono donne affermate, con carriere autonome, che a parte un po' di chiasso intorno alla faccenda ora non ci perdono nulla a denunciare. Ma cosa sarebbe successo all'epoca? Se una fosse venuta allo scoperto in quante l'avrebbero spalleggiata? Se persino Asia Argento e Angelina Jolie che sono figlie d'arte e presumibilmente avrebbero potuto sfondare per altri canali sono state zitte, cosa potevano fare le altre? 

Un'ultima cosa. La Argento e le altre hanno aspettato vent’anni per denunciare e pare che nel frattempo dal rapporto con Weistein ci abbiano guadagnato lavorativamente. Ergo per alcuni, se abuso ci fosse stato, adesso non avrebbero più il diritto di denunciarlo. E’ un po’ come dire che se qualcuno mi investe sulle strisce pedonali e la sua assicurazione mi paga i danni, l’investimento non c'è mai stato e quello non ha commesso un reato.

sabato 3 giugno 2017

-3

Un'altra estate è alle porte, anzi a giudicare dal clima è già arrivata. È una stagione che mi mette angoscia, l'ansia ce l'ho sempre quindi sarebbe inutile sottolinearla, sono fatta al 90% d'ansia. Il mio primo attacco di panico fu in estate, l'anno della maturità; entrambi i miei nonni scomparsi sono mancati in estate; il mio primo cane pure. Da piccola amavo l'estate e cerco di giustificare questo mio mutato stato d'animo sottolineando le cose brutte che sono capitate in questa stagione, ma la verità è che le cose brutte capitano tutto l'anno, solo che se capitano quando sei già angosciato di tuo le noti di più. Magari è il caldo, non amo il caldo (intendo quello senza mare e sopra i 32°), potrebbe essere che il fastidio di sottofondo che provo mi peggiori anche l'umore.

Ogni anno attendo speranzosa l'arrivo dell'autunno, le pioggerelline, i maglioncini di filo, un nuovo inizio, perché per me il vero capodanno è in settembre, col primo raccolto autunnale, la ripresa del lavoro e della scuola. Settembre è anche il mese del mio compleanno, quindi è il momento in cui tiro doppiamente le somme, ricomincia la vita ed io sono un anno più vecchia, ho davanti un nuovo anno in tutti i sensi, in cui voglio e devo fare meglio. Fino a qualche anno fa era un bel momento, carico di speranze ed aspettative, col tempo ho cominciato a considerare anche le implicazioni negative, e cioè il fatto che se finalmente è tornato l'autunno significa anche che un altro anno è passato senza che infondo nulla sia cambiato davvero, come se non avessi sfruttato appieno il tempo a disposizione, ne avessi sprecato tanto e per giunta ora con un anno in meno davanti.

Meno tre mesi a settembre, meno tre mesi ai trent'anni, meno tre esami alla laurea e probabilmente meno tre mesi alla laurea. Mi sarei dovuta e potuta laureare a gennaio ma mi sono ancorata, perdo più tempo del necessario sugli esami e mi sono anche concessa il lusso di rifiutare dei voti seppure buoni. Se non mi invento altri modi per perdere tempo mi potrei laureare in settembre e non so se mi angoscia di più la laurea in sé o il pericolo che stavolta potrei davvero laurearmi. E dopo? Dopo sì che sarebbe un nuovo inizio, una pagina bianca (magari giallina va), che potrebbe di nuovo caricarsi di aspettative e buoni propositi, proprio come quando iniziava un nuovo anno scolastico e stavolta farò sempre i compiti e non farò sega a scuola (va be' magari una al mese).

Cosa farò dopo? Come sarà la mia vita da adulta? No sul serio, a trent'anni, con una casa, un quasi-marito e il progetto di crearmi una famiglia il livello di maturità che percepisco in me è su per giù animatore di villaggio turistico. Cosa verrà dopo questa benedetta laurea che ormai è diventata una scusa per non crescere, per rimanere nel mio sicuro ma al tempo stesso angosciante limbo? 

Mi iscriverò alla magistrale? E per fare che? Magistrale in Storia delle religioni, se faccio gli esami giusti posso insegnare storia e filosofia nei licei, sì ma tra quanti anni? Allora dottorato, se me lo faranno fare, e poi? Con il nuovo sistema universitario non esistono più i ricercatori a vita, dopo o trovi il modo di diventare professore associato o al massimo puoi fare il cultore della materia, molto nobile ma gratuito, ed il mondo accademico è già saturo.

Con la laurea in storia delle religioni potrei tentare la strada del mediatore culturale nei centri di accoglienza, oppure lavorare per l'integrazione religiosa. Altre mie amiche già lo fanno con soddisfazione, ma è un settore difficile, soprattutto il primo, non basta la preparazione, ci vuole anche stamina.

In giugno alla scuola di musica si possono dare gli esami con validità internazionale, discussa la tesi potrei prepararmi e dare a giugno 2018 la laurea breve in musica e poi finire il percorso negli anni successivi per ottenere l'abilitazione all'insegnamento, magari cominciando già ad insegnare ai principianti. Ma troverei lavoro? 

Altre persone al mio posto sarebbero probabilmente eccitate ed entusiaste pensando a tutte le possibilità che gli si dispiegano davanti. Io respiro male, fumo (ho smesso da anni ma sotto esame...), mangio dolci che nemmeno mi vanno o mi piacciono (comfort food un cavolo) e che poi mi tocca smaltire, raggiungo ragguardevoli picchi di ipocondria e penso dio mio ho solo tre mesi, e non ho nemmeno iniziato la tesi.

Saranno tre mesi di panico, pena ed angoscia dispiegati davanti ad un baratro di oscurità e vuoto infiniti. E probabilmente finirò a scrivere pessime canzoni death metal.

venerdì 19 maggio 2017

Dell'invidia e altre bestie


A Simona.
Questo post è per Silvia [...]. Che mi ha appoggiata e ascoltata. Che non mi ha mai invidiata (soprattutto). Prima o poi ti telefono, ed è il "poi" che dovrei imparare a tenere d'occhio. TVB.
Dato che mi hai ispirato un flusso di pensieri più lungo di quanto mi aspettassi preferisco rispondere qui al tuo post, per non prendermi troppo spazio da te :)

Fin da piccola ho sempre avvertito la mancanza di un punto di riferimento, di un modello a cui ispirarmi, non so perché, non che non ci siano cose che mi piacciono anche nei miei genitori, ma volevo anche altro e in loro non sempre lo trovavo. Ho sempre osservato gli altri, tanto, e ci sono persone su cui mi soffermo di più perché in loro trovo una o più cose che mi piacciono. A volte cose che mi piacciono e basta, nel senso che le apprezzo in quella particolare persona ma non fantastico di averle o saperle fare anche io, altre volte invece anche questo. Così da alcune persone ho tratto ispirazione per determinate caratteristiche, tante altre mi hanno trasmesso gusti e spunti artistici in genere (musica, libri, cinema), il ché non penso sia tanto strano.

Diciamo che una mia idea su chi cerco di essere ce l'ho e apprezzo molto trovare stimoli congrui nel mio prossimo. Non la chiamo ammirazione solo perché nella mia vita non sono mai riuscita ad idolatrare nessuno, di solito ammiro alcuni aspetti e non altri e soprattutto quando l'ammirazione è intellettuale rimane confinata in quell'ambito, posso ammirare una mente ma non necessariamente mi piacciono il carattere o il modo di vivere della persona a cui appartiene. Di alcuni ammiro il modo in cui affrontano i problemi, anche se spesso giudichiamo per come le persone ci consigliano quando ci troviamo noi in difficoltà, mentre vai a sapere se mantengono la stessa calma e lucidità quando si trovano loro al centro del ciclone. 

Penso che sia facile giudicare la vita di qualcuno migliore della propria dall'immagine che ce ne dà o che ce ne costruiamo noi, che comunque giudichiamo sempre da un punto di vista preconcetto: il nostro. Qualche giorno fa mi è capitato di vedere una meme che diceva qualcosa come quando pensi che ti stia andando tutto male ricorda che c'è un'altra donna che guarda alla tua vita pensando che sia migliore della sua.

Ecco, noto che spesso avviene questo, alcune persone giudicano il risultato senza pensare a quello che è costato perseguirlo, giudicano la situazione in cui vive l'altro solo in base a come credono si sentirebbero al suo posto. Magari ne invidiano il lavoro senza pensare che quello il suo lavoro potrebbe odiarlo, o si pensa che per lui/lei sia stato facile ottenerlo non sapendo quanto gli è costato. Non so se io parlerei di invidia, in molti casi credo sia un binomio di ignoranza e maleducazione.

Questo è un altro punto su cui ho riflettuto molto negli ultimi mesi e mi rifaccio a un'altra frase che cerco sempre di ripetermi: solo perché ti senti offeso non significa che tu abbia ragione. Nella mia vita ho passato molto tempo a sentirmi criticata e di conseguenza a offendermi, perché se una cosa mi suona come una critica che potrebbe anche essere rivolta a me allora chi la dice sta cercando di offendermi o quantomeno non si preoccupa dei miei sentimenti.

Quello che non mi domandavo, però, è perché mi sentivo offesa. Tante volte me la sono presa per un commento rendendomi conto solo a posteriori che nella maggior parte dei casi l'offesa era solo nella mia testa. Spesso infatti il problema è in chi critica, non in noi. Se qualcuno critica abitualmente la gente per come si veste è ovvio che prima o poi lo farà anche con me, ma non posso dire che ce l'abbia con me, è solo una persona superficiale e maleducata. Oppure potrebbe pensare di avere con me sufficiente confidenza da darmi quello che per lei è un consiglio, forse le ho dato troppa corda o forse se l'è presa lei. O, ancora, è una persona sciocca o sbadata.

Ci sono volte in cui l'insulto è lì che vola nell'aria e siamo noi a decidere di sentircene toccati, ma di fatto non ci riguarda, il problema ce l'ha chi parla e chissà con chi se la sta prendendo in realtà, non con noi però, magari non ci conosce e non sa che apparteniamo alla categoria che sta offendendo, oppure noi ci vediamo come appartenenti ad essa ma per lui/lei non lo siamo.

Anche fosse che tutte queste uscite siano il prodotto dell'invidia almeno adesso ho capito che nessuna di esse mi riguarda. Finché qualcuno non mi insulta in modo diretto non è un mio problema e la gente perennemente critica posso sempre decidere di non frequentarla, mentre quella che ogni tanto ha uscite infelici posso frequentarla e fregarmene quando accade se sono io a non sentirmene coinvolta. Quante volte è capitato a me per prima di aprire la bocca e dare fiato a espressioni che nella mia testa erano frasi di circostanza o battute non molto riuscite, e invece l'altro se l'è presa. A volte per una reale gaffe, altre perché il mio interlocutore è andato oltre con l'immaginazione.

Questo per dire che la frase in sé non ha nessun potere o significato recondito, è chi l'ascolta che ce lo può vedere, a volte a ragione e a volte a torto. Chi parla può essere una persona rude, a volte io lo sono, anche quando non voglio mi rendo conto che il mio interlocutore si offende, ma sempre perché legge in quello che dico più di quello che dico, in un eterno processo alle intenzioni o al avresti dovuto pensare che, come se la distrazione fosse un lusso che non ci si può mai concedere. Viceversa l'offeso, o chi si sente invidiato, in molti casi sta interpretando oltre il significato letterale, ma lo fa per motivi che sono solo i suoi. Nel mio caso mi riguardano entrambe le facce della medaglia, solo che io non mi sento invidiata ma criticata, le situazioni sono però le stesse che descrivi tu.

Ci ho provato a comportarmi in modo tale che nessuno potesse mai sentirsi offeso da ciò che dico, ma inizio ad essere stanca di camminare sulle uova, di pensare otto volte a come sarebbe meglio esprimere un concetto o dare un consiglio (richiesto) senza offendere una persona che so essere permalosa. Se dico una cosa che nelle mie intenzioni non è un insulto e l'altro se la prende non posso farmene una croce, evidentemente non è una persona con cui posso parlare di altro oltre che del tempo. Invidio tantissimo (in senso buono) quelli che riescono sempre a dire cosa pensano, anche se è contro, e non offendono nessuno, ma non capisco come facciano.

Ciò che desidero è capire perché certe affermazioni mi offendono, perché l'offesa ha su di noi una presa, ci coinvolge, ci pensiamo e ripensiamo e così diamo importanza a chi l'ha mossa, che magari proprio quello stava cercando, l'attenzione di qualcuno. Se sono io a sentirmi in colpa per qualcosa devo capire perché e risolvere il problema, e la prossima volta qualsiasi affermazione in merito non solo non mi offenderà, ma nemmeno la registrerò. Perché poi il segreto è questo ed è ciò che ammiro in certe persone, non il solo dire che non gli importa, ma non notarle nemmeno certe cose, come fossero un brusio di sottofondo. Anche chi si offende sempre ha una certa presa, e a me è capitato spesso di avere a che fare con persone con cui bisogna fare attenzione a cosa si dice e come e chiedere sempre scusa non sai nemmeno tu per cosa. Devo dire che alla fine le ho sempre dovute allontanare per il mio quieto vivere. 

So di essere un calderone di incongruenze, da una parte permalosa e sensibile, dall'altra brusca e a volte passivo-aggressiva quando mi sento attaccata (per l'appunto a volte a torto e altre volte a ragione). Spero che le persone a cui tengo non si sentano criticate in modo distruttivo (o invidiate, a seconda dei punti di vista), e viceversa spero di non fare troppo la vittima quando si tratta di queste stesse persone. Questo binomio a volte ha rovinato o raffreddato dei rapporti a cui tenevo e me ne faccio in parte una colpa, perché comunque le cose si fanno sempre in due, mi dispiace soprattutto quando non so di avere fatto star male l'altro perché non me ne rendo conto e quindi non posso nemmeno rimediare. Altre volte, come dicevo, almeno uno dei due aspetti mi ha salvata da relazioni pesanti.